Onda verde di nuovo in piazza. Obama insiste sul dialogo, Montazeri fa autocritica
L’onda verde di nuovo in piazza contro il governo Ahmadinejad. Come sempre, la Repubblica islamica celebra oggi la “Giornata contro l’arroganza globale” per ricordare l’occupazione dell’ambasciata americana di Teheran. Quei 444 giorni di crisi segnarono la rottura delle relazioni diplomatiche tra Washington e Teheran e impressero anche un’accelerazione all’islamizzazione e della rivoluzione. Sul web hanno cominciato a circolare già dal mattino video di manifestazioni e scontri. Un rituale che si ripete ormai dal giugno scorso. Si parla di colpi d’arma da fuoco esplosi dalla polizia contro i manifestanti. Il leader riformista Karroubi sarebbe stato aggredito da un gruppo di persone. Mousavi sarebbe stato invece costretto dalla polizia a rimanere in casa.
Il trentennale della presa degli ostaggi è stata l’occasione per un nuovo intervento del presidente Usa Obama sulle relazioni tra Washington e Teheran. “Questo avvenimento – ha detto - contribuì a porre Stati Uniti e Iran sulla via di un prolungato sospetto, di sfiducia e confronto. La crisi ha profondamente inciso sulla vita di americani coraggiosi che vennero ingiustamente tenuti in ostaggio e dobbiamo a questi americani ed alle loro famiglie la nostra gratitudine per il loro straordinario servizio e sacrificio. L’Iran deve scegliere se aprire le porte alle opportunità o rimanere legato al passato. Abbiamo ascoltato per 30 anni le cose sulle quali il governo iraniano è contro. La questione, ora, è quale tipo di futuro desiderano ed è tempo per il governo iraniano di scegliere se vuole restare focalizzato sul passato, o se se vuole aprire le porte a migliori opportunità, prosperità e giustizia per il suo popolo. Ho detto chiaramente che gli Stati Uniti d'America vogliono superare questo passato, e cercano una relazione con la Repubblica islamica dell'Iran basata sugli interessi e sul rispetto reciproci. Abbiamo chiarito che se l'Iran assolve agli obblighi che ogni nazione ha si muoverà in direzione di una più produttiva relazione con la comunità internazionale”.
Obama continua dunque a tendere la mano tesa all’Iran, nonostante le risposte sulla questione nucleare siano tutt’altro che chiare. La Guida suprema ha dichiarato che dietro la mano tesa, il presidente statunitense “tiene come sempre un pugnale” e ha ha ribadito il suo no a negoziati i cui risultati “siano stabiliti in partenza dagli Usa”.
Una rilettura critica della crisi degli ostaggi viene dal grande ayatollah dissidente Montazeri: “L’occupazione dell’ambasciata americana dopo la vittoria della rivoluzione fu sostenuta dalla maggior parte dei gruppi rivoluzionari e in ultimo dall’Imam Khomeini, ma dopo le reazioni negative del popolo americano, rimaste tali fino ad oggi, è chiaro che quella non fu la cosa giusta da fare”. Meglio tardi che mai, verrebbe da commentare. Ma si tratta in realtà di un’analisi importante, perché oggi nel fronte riformista ci sono diversi esponenti di quegli “Studenti seguaci dell’Imam” che nel 1979 occuparono l’ambasciata col dichiarato intento di dare vita a una “seconda rivoluzione”. Tra di loro, ricordiamo Mohsen Mirdamadi, segretario del partito Mosharekat, arrestato dopo le elezioni di giugno a attualmente incarcerato a Evin.
Montazeri sostiene che che l’occupazione fu “una dichiarazione di guerra e questo non è giusto. (…) Se gli interessi nazionali richiedono che le relazioni con gli Usa siano ristabilite, non bisonga creare tensioni e sfiducia con slogan senza senso che aggravano soltanto la situazione”. Chiaro il riferimento alle dimostrazioni governative in cui si continua a gridare “Marg bar Amrika”, “Morte all’America”.
Montazeri ha poi dichiarato che “il potere militare, la repressione e il silenzio forzato del popolo non portano risultati perché soltanto il vero sostegno popolare dà forza a un regime. Secondo me il governo dovrebbe, con una decisione coraggiosa e prudente, rilasciare immediatamente i prigionieri politici e permettere la pubblicazione dei giornali messi al bando e rimuovere tutti gli organi che limitano la libertà d’opinione. Soltanto così il regime sarà in grado di partecipare a trattative con forza e gloria. Combattere l’arroganza non significa fare la guerra alle nazioni, creare risentimento e procurare nemici al Paese e isolarlo”.
Nessun commento:
Posta un commento