Un’Intifada iraniana? La ricorrenza religiosa di Ashura si trasforma in una grande mobilitazione contro il sistema. E stavolta i manifestanti passano all’attacco
Che sarebbe stato un giorno particolare lo sapevano tutti, ma pochi, appena qualche settimana fa, avrebbero immaginato una Ashura così. Il 27 dicembre 2009 (6 dey del calendario persiano) sarà ricordato come uno dei giorni più drammatici e significativi della crisi politica iniziata all’indomani delle elezioni del 12 giugno. Negli scontri tra polizia e manifestanti si sono registrati almeno 10 i morti. Tra loro, anche Seyyed Ali Mousavi, ingegnere 35enne nipote di Mir Hossein, candidato sconfitto alle presidenziali e leader dell’Onda verde. Gli arrestati sarebbero oltre 300. In questi mesi le giornate di mobilitazione e di lotta non sono state poche: ricordiamo le manifestazioni e gli scontri del 7 dicembre (Giornata dello studente), del 4 novembre (anniversario della presa dell’ambasciata Usa) e del 18 settembre (Giornata di Qods). Ma questa volta c’è un salto di qualità evidente: i manifestanti hanno reagito, sono passati al contrattacco. A Teheran sono stati assaltate diverse stazioni di polizia, in più punti della città i militari hanno dovuto ripiegare sotto sassaiole fitte e improvvise. Lo testimoniano i racconti e ancora di più le immagini su Youtube e Facebook.
Per gli sciiti, Ashura ricorda il martirio dell’imam Hossein a Kerbala nel 680. E’ il sacrificio di un uomo giusto che sceglie di morire in uno scontro impari (72 contro migliaia) piuttosto che accettare un compromesso con un tiranno. “Ashura è sempre, Kerbala è ovunque”, sosteneva Khomeini citando il filosofo Ali Shariati. Lo sciismo è “rifiuto dell'inautentico, radicalismo del no, lotta contro l'ingiustizia”.
Le grandi manifestazioni dell’Ashura del 1978 rappresentarono la spallata decisiva al regime dello Scià. Stavolta qualcuno parla dell’inizio di una “Intifada iraniana”, paragonando queste dimostrazioni alla “guerra delle pietre” scatenata dai palestinesi contro gli occupanti israeliani nel 1987. Di certo, la situazione iraniana sta assumendo tratti sempre più drammatici.
Già dalla scorsa estate,questa giornata era attesa come momento di grande mobilitazione. La ricorrenza è coincisa poi con la commemorazione dell’Ayatollah dissidente Montazeri, scomparso una settimana fa. La Guida suprema Khamenei ha scelto ancora una volta la linea dura: nei giorni scorsi i basiji si sono resi colpevoli di atti tanto gravi quanto controproducenti. A Esfahan, per esempio, prima hanno picchiato delle persone inermi che in una moschea partecipavano a una cerimonia funebre per Montazeri e poi hanno persino cercato di aggredire l’Ayatollah Seyyed Jalaleddin Taheri, che aveva organizzato quella cerimonia. Non c’è perciò da stupirsi se i manifestanti usino slogan religiosi contro un regime che sembra non avere più nulla di islamico.
Gli slogan dell’opposizione sono oggi tutti contro Khamenei e il suo ruolo di Guida suprema. Ahmadinejad, da nemico numero uno, è divenuto un bersaglio secondario. In gioco non sembrano esserci più le elezioni, ma la natura stessa del sistema politico. “Montazeri non è morto, il velayat-e faqih (il principio su cui si basa la Repubblica islamica, ndr) è morto”, urlano in piazza gli iraniani. Per lunedì 28 dicembre è stato proclamato lo sciopero generale. Poi ci saranno altre ricorrenze potenzialmente esplosive, come la fuga dello Scià (16 gennaio) e la vittoria della rivoluzione (1 febbraio). Tra 40 giorni, poi, come da tradizione sciita, saranno ricordate le vittime di questa Ashura di sangue. Potremmo essere solo all’inizio di una reazione a catena.
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