La manifestazione davanti all’ambasciata italiana diventa un “assalto” per il governo e i media di casa nostra. A chi giova l’escalation
Ha ragione Bernardo Valli (Repubblica, 10 febbraio 2010) quando afferma che l’Iran è diventato “un incubo, roba da psicanalisti”. La manifestazione di fronte all’ambasciata italiana di Teheran cosa è stato davvero? “Una messa in scena da teatro di provincia”, come scrive lo stesso Valli? I giornali italiani di oggi (salvo pochissime eccezioni) parlano di “assalto”, “clima incandescente” e così via.
Lo stesso ambasciatore ha poi descritto l’accaduto come “venti minuti di grida e tensione”. Le stesse immagini trasmesse dalla tv di Stato iraniana fanno pensare alla “solita” messa in scena: basiji in abiti civili che lanciano qualche sasso, scandiscono slogan e vengono poi fermati dalla forze dell’ordine. Tutto come da programma. È accaduto decine di volte, negli ultimi anni. Soltanto che stavolta è accaduto davanti alla nostra ambasciata e allora sembra di essere alla vigilia della terza guerra mondiale.
Coincidenze surreali: mentre tutte le agenzie battevano la “notizia” dell’assalto all’ambasciata di Teheran, un migliaio di ultrà a Formello metteva a ferro e fuoco la sede degli allenamenti della Lazio. Bombe carta, sprangate e intervento della polizia…
Dopo le dichiarazioni di Berlusconi a Gerusalemme (aveva di fatto paragonato Ahmadinejad a Hitler e promesso sanzioni dure per la questione nucleare) l’ambasciatore italiano era già stato convocato dal ministro degli Esteri iraniano e aveva ricevuto proteste ufficiali. D’altra parte, sarebbe stato strano se questo non fosse accaduto. E’ la prassi, in diplomazia e anche in politica.
Alzare il livello di scontro con l’esterno è funzionale alla repressione del dissenso interno. È più facile accusare i dissidenti di complicità col “nemico esterno”. E, in più, si distoglie l’attenzione su quanto accade nel Paese. Per questo le dichiarazioni di Berlusconi in Israele sono dannose per quell’opposizione interna che lui dichiara di voler sostenere. È una tattica consolidata e quanto mai utile alla vigilia di quella che si preannuncia una giornata campale. L’11 febbraio (22 bahman per il calendario persiano) si commemorano i 31 anni della rivoluzione e si preannunciano manifestazioni antigovernative di rilievo.
La nuova posizione italiana rompe con una tradizione decennale. Il nostro Paese è un partner economico privilegiato per Teheran da quasi 50 anni ed ha svolto in più riprese un lavoro di mediazione forse poco appariscente ma sicuramente efficace. Non dimentichiamo che nel 2004 fu l’allora presidente Khatami a chiedere che l’Italia entrasse nel gruppo 5 + 1 per i negoziati sul nucleare. Il governo Berlusconi non accettò l’invito e oggi sembra spingersi oltre. L’allinearsi alle posizioni israeliane è anche il segno di come stia mutando la linea di Obama. La “mano tesa” sembra ormai un ricordo si attendono ora sanzioni durissime. Certo, la politica iraniana è stata sfuggente e irritante, ma, per una corretta definizione degli eventi, ci sono alcuni punti che non dovremmo mai dimenticare.
L’arricchimento dell’uranio al 20 per cento, annunciato da Ahmadinejad pochi giorni fa, sarà anche una provocazione, ma non è sufficiente per produrre armi atomiche (l’arricchimento deve essere almeno dell’80 per cento) e infatti è consentita dal Trattato di non proliferazione. Tutta la diatriba nucleare, ricordiamolo sempre, si basa non su prove, ma sulla mancanza di prove. Interpretate come segno di colpevolezza. Sembra assurdo, ma è così, basta rileggersi la cronistoria di questa vicenda. Non c’è nessuna “smoking gun”.
Il secondo errore macroscopico è continuare a ritenere Ahmadinejad e Khamenei sulle stesse posizioni, quando invece rappresentano ormai due blocchi politici distinti. E anche i pasdaran sono di fatto una forza (economica, politica e militare) se non proprio indipendente, di certo autonoma. Il presidente iraniano l’accordo sul nucleare l’avrebbe firmato di corsa a ottobre, ma sono proprio questi due altri blocchi (Guida suprema e pasdaran) a fermare il dialogo. Perché Ahmadinejad è sotto il loro ricatto, soprattutto dopo le elezioni truccate.
Ma mentre tutto il mondo parla del nucleare, in Iran si parla di politica ed economia. Il governo Ahmadinejad ha tagliato le sovvenzioni sui prezzi e nei prossimi mesi si preannunciano chiusure di fabbriche e perdite di posti. Saranno mesi molto duri. Sarà l’occasione per un cambiamento radicale della situazione interna? Vediamo intanto cosa accadrà domani.
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