A Tehran torna in piazza l’Onda Verde. Ma l’Iran non è né l’Egitto né la Tunisia
“Tutto è simbolo e analogia”, sosteneva Fernando Pessoa. Sembra mossa da una simmetria fatale l’attuale situazione in Medio Oriente. Sembra soltanto o è davvero? Tunisia, Egitto, ora Iran? Forse sarebbe il caso di dire, “di nuovo Iran”. Perché le manifestazioni del 14 febbraio, 25 Bahaman per il calendario persiano, hanno rappresentato il ritorno dell’Onda verde dopo un anno di assenza dalle piazze. Si è scritto e parlato di scontri e arresti. Le vittime accertate sarebbero due.
Che bilancio possiamo trarre? Innanzitutto che l’Onda verde è viva e capace ancora di creare problemi al governo iraniano. Il movimento ha vissuto una fase di sostanziale “ibernazione” dopo gli scontri dell’Ashura dello scorso anno (27 dicembre 2009). Si attendeva una grande prova di forza per l’11 febbraio di un anno fa (giorno dell’anniversario della Rivoluzione iraniana) ma in quel caso la macchina della repressione fu molto efficace e la mobilitazione fallì.
Invece questo 14 febbraio 2011 è indubbiamente un successo a favore dell’opposizione. Molto probabilmente le persone in piazza a Teheran non erano “centinaia di migliaia” ma alcune migliaia. Siamo molto lontani dalle manifestazioni oceaniche del giugno 2009. Ma che sia stato un successo lo dimostrano l’imbarazzo e il nervosismo della Guida suprema e dei conservatori.
Il successo è anche dei leader dell’opposizione, Moussavi, Karroubi e Khatami, che queste manifestazioni avevano indetto. Non saranno certo le “facce nuove” che molti iraniani vorrebbero vedere, ma di sicuro continuano a giocare un ruolo importante nella scena politica iraniana. Anche perché tra un anno si vota per il parlamento e tra due ci sarà per forza un nuovo presidente della Repubblica, dato che la costituzione impedisce ad Ahmadinejad di correre per il terzo mandato consecutivo.
I manifestanti cantavano: “Mubarak, Ben Alì, ora tocca a Seyyed Alì (Khamenei)”. Difficile stabilire un parallelo con i casi della Tunisia e dell’Egitto. L’Iran è un sistema politico completamente diverso e molto più articolato di quelli tunisino ed egiziano. L’eventuale (e comunque per ora poco probabile) uscita di scena della Guida Suprema, non sarebbe equiparabile alle dimissioni di un Mubarak o di un Ben Ali. Il sistema iraniano è più complicato, più articolato e anche più “resistente” alle scosse.
Sebbene fiaccato dalla crisi economica e dalle divisioni interne, la Repubblica islamica ha ancora una base di consenso, soprattutto nei ceti popolari. Consenso non vuol dire necessariamente entusiasmo, ma molto più semplicemente convenienza.
Inoltre, mentre Mubarak si reggeva grazie all’appoggio degli Usa, l’Iran non ha “sponsor” esterni che possano condizionare il suo destino. Prima di avventurarci in paragoni arditi, forse ci sono ancora d’aiuto i versi di Pessoa:
Tutto ciò che vediamo è qualcos'altro. / L'ampia marea, la marea ansiosa, / è l'eco di un'altra marea che sta / laddove è reale il mondo che esiste. / Tutto ciò che abbiamo è dimenticanza.
Nessun commento:
Posta un commento