lunedì 28 dicembre 2009

Piovono pietre


Un’Intifada iraniana? La ricorrenza religiosa di Ashura si trasforma in una grande mobilitazione contro il sistema. E stavolta i manifestanti passano all’attacco


Che sarebbe stato un giorno particolare lo sapevano tutti, ma pochi, appena qualche settimana fa, avrebbero immaginato una Ashura così. Il 27 dicembre 2009 (6 dey del calendario persiano) sarà ricordato come uno dei giorni più drammatici e significativi della crisi politica iniziata all’indomani delle elezioni del 12 giugno. Negli scontri tra polizia e manifestanti si sono registrati almeno 10 i morti. Tra loro, anche Seyyed Ali Mousavi, ingegnere 35enne nipote di Mir Hossein, candidato sconfitto alle presidenziali e leader dell’Onda verde. Gli arrestati sarebbero oltre 300. In questi mesi le giornate di mobilitazione e di lotta non sono state poche: ricordiamo le manifestazioni e gli scontri del 7 dicembre (Giornata dello studente), del 4 novembre (anniversario della presa dell’ambasciata Usa) e del 18 settembre (Giornata di Qods). Ma questa volta c’è un salto di qualità evidente: i manifestanti hanno reagito, sono passati al contrattacco. A Teheran sono stati assaltate diverse stazioni di polizia, in più punti della città i militari hanno dovuto ripiegare sotto sassaiole fitte e improvvise. Lo testimoniano i racconti e ancora di più le immagini su Youtube e Facebook.


Per gli sciiti, Ashura ricorda il martirio dell’imam Hossein a Kerbala nel 680. E’ il sacrificio di un uomo giusto che sceglie di morire in uno scontro impari (72 contro migliaia) piuttosto che accettare un compromesso con un tiranno. “Ashura è sempre, Kerbala è ovunque”, sosteneva Khomeini citando il filosofo Ali Shariati. Lo sciismo è “rifiuto dell'inautentico, radicalismo del no, lotta contro l'ingiustizia”.


Le grandi manifestazioni dell’Ashura del 1978 rappresentarono la spallata decisiva al regime dello Scià. Stavolta qualcuno parla dell’inizio di una “Intifada iraniana”, paragonando queste dimostrazioni alla “guerra delle pietre” scatenata dai palestinesi contro gli occupanti israeliani nel 1987. Di certo, la situazione iraniana sta assumendo tratti sempre più drammatici.


Già dalla scorsa estate,questa giornata era attesa come momento di grande mobilitazione. La ricorrenza è coincisa poi con la commemorazione dell’Ayatollah dissidente Montazeri, scomparso una settimana fa. La Guida suprema Khamenei ha scelto ancora una volta la linea dura: nei giorni scorsi i basiji si sono resi colpevoli di atti tanto gravi quanto controproducenti. A Esfahan, per esempio, prima hanno picchiato delle persone inermi che in una moschea partecipavano a una cerimonia funebre per Montazeri e poi hanno persino cercato di aggredire l’Ayatollah Seyyed Jalaleddin Taheri, che aveva organizzato quella cerimonia. Non c’è perciò da stupirsi se i manifestanti usino slogan religiosi contro un regime che sembra non avere più nulla di islamico.


Gli slogan dell’opposizione sono oggi tutti contro Khamenei e il suo ruolo di Guida suprema. Ahmadinejad, da nemico numero uno, è divenuto un bersaglio secondario. In gioco non sembrano esserci più le elezioni, ma la natura stessa del sistema politico. “Montazeri non è morto, il velayat-e faqih (il principio su cui si basa la Repubblica islamica, ndr) è morto”, urlano in piazza gli iraniani. Per lunedì 28 dicembre è stato proclamato lo sciopero generale. Poi ci saranno altre ricorrenze potenzialmente esplosive, come la fuga dello Scià (16 gennaio) e la vittoria della rivoluzione (1 febbraio). Tra 40 giorni, poi, come da tradizione sciita, saranno ricordate le vittime di questa Ashura di sangue. Potremmo essere solo all’inizio di una reazione a catena.

lunedì 21 dicembre 2009

La morte di Montazeri


La scomparsa del Grande Ayatollah dissidente mobilita l’opposizione in Iran


“Questo regime finirà con Khamenei”. È la profezia lanciata nel 2008 dal Grande Ayatollah Hossein-Ali Montazeri, scomparso il 19 dicembre all’età di 87 anni. Allievo di Khomeini e suo successore designato nel ruolo di Guida Suprema, Montazeri conosce il carcere e le torture sotto lo scià e partecipa in prima linea alla rivoluzione del 1979. Cade in disgrazia quando critica l’establishment iraniano sulle esecuzioni di massa del 1988. Avrebbe potuto tacere per opportunismo, e invece scrive una lettera a Khomeini in cui denuncia torture, abusi e violenze che tradiscono lo spirito originario della rivoluzione. Quella lettera somiglia tragicamente a quella scritta da Karroubi a Khamenei nell’estate del 2009.

Nel 1997, per aver criticato la Guida Suprema Khamenei, Montazeri finisce agli arresti domiciliari. Mette in dubbio l’infallibilità del rahbar, ipotizza un velayat-e faqih in cui la Guida sia sottoposta al giudizio popolare. In questi anni non ha mai smesso di criticare il sistema iraniano e di chiedere profonde riforme in senso libertario. Va riconosciuto a Montazeri di aver saputo fare anche autocritica, come quando lo scorso novembre disse che l’occupazione dell’ambasciata americana del 4 novembre 1979 fu un errore.

Dopo il voto del 12 giugno non si era risparmiato nel sostenere le proteste dell’Onda Verde e aveva emesso una fatwa contro Ahmadinejad. A luglio, dopo la repressione delle commemorazioni di Neda, era arrivato a sostenere che l’Iran non era più né una repubblica né islamica. Di questo bisognerà sempre ricordarlo

La notizia della sua morte, taciuta per ore dalla tv di Stato e invisibile sui principali siti filo governativi, è l’ennesima tappa di una crisi lunghissima. Per i suoi funerali si sono mobilitati i principali esponenti politici dell’area riformista e l’intera giornata è diventata una grande mobilitazione anti governativa. Khamenei ha commentato laconicamente “che Dio lo perdoni”, a confermare una condanna anche post mortem. Perché Montazeri è stato una spina nel fianco di questa sistema da vivo e potrebbe esserlo anche da morto. Ai suoi funerali a Qom hanno partecipato centinaia di migliaia di persone (secondo alcuni addirittura un milione di persone). Alla fine della cerimonia si sono registrati scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, con diversi arresti. La folla ha scandito slogan quali: “Oggi è il giorno del lutto", "Montazeri non è morto, lo è il governo”.

È la dimostrazione di come questa protesta trovi nell’Islam e in alcune figure religiose, un elemento identitario e di aggregazione. Montazeri rappresenta forse ciò che la rivoluzione sarebbe potuto essere e non è stata. E può essere ancora una figura di riferimento, un modello di pensiero non esterno alla Repubblica islamica ma alternativo all’attuale establishment.

La macchina della repressione si è già messa in moto: Ahmad Qabel, un religioso allievo di Montazeri, è stato arrestato mentre era in viaggio da Mashad a Qom per partecipare ai funerali. Secondo alcuni siti riformisti, sarebbero stati arrestati anche altri attivisti politici quali Mahnaz Mohammadi e Kuhiar Qabel, e Ahmad Nurizad, ex giornalista del quotidiano ultraconservatore 'Kayhan', ultimamente critico nei confronti del governo.

A Teheran l’Onda verde prepara una grande giornata di proteste. Si preannuncia una settimana molto intensa, con le celebrazioni dell’Ashura (27 dicembre) che potrebbero diventare l’occasione per dimostrazioni di massa in tutto il Paese. Montazeri sarebbe fiero del suo popolo.


mercoledì 16 dicembre 2009

Presentazione a Roma venerdì 18 dicembre


IRAN
La resa dei conti
(pagg. 112, € 11,00)


di ANTONELLO SACCHETTI
Prefazione di Daniela de Robert

Venerdì 18 dicembre ore 18,30
Vista Arte e Comunicazione
Via Ostilia, 41 - Roma

Sarà presente l’Autore

La presentazione avrà luogo all’interno di una mostra espositiva di pitture e fotografie dal titolo “Punti di Vista”, degli artisti: Fatima Abbadi, Manuela Adragna, Francesca Betti, Valentina Crasto, Sabrina Faustini, Miro Gabriele, Cecilia Granelli, Francesco Granelli, Francesca Grilli, Massimo Lagrotteria, Marco Marucci, Sabrina Tomasella, Ilaria Tundo e Stefania Vassura



venerdì 27 novembre 2009

Sei mesi dopo

Intervista con Antonello Sacchetti sulla situazione politica iraniana


D. Sono passati quasi sei mesi dalle elezioni presidenziali iraniane, che hanno visto la contestata conferma di Mahmud Ahmadinejad oltre che scene di violenza e arresti ai danni dell’opposizione nelle piazze. Che cosa è cambiato dal 12 giugno a oggi in Iran? E che cosa, invece, non cambierà?


R: A livello esteriore, formale, non è cambiato nulla. La Repubblica islamica è in piedi, Ahmadinejad è presidente, la Guida suprema è sempre al suo posto. Nessuno parla più di ripetere le elezioni, anche se ormai anche all’interno del fronte conservatore più di un esponente ammette implicitamente i brogli. Il cambiamento è però nella sostanza, non nella forma. Volendo fare una battuta, è accaduto l’esatto opposto di quello che Giuseppe Tomasi di Lampedusa fa dire al principe Fabrizio Salina nel Gattopardo: per non voler cambiare nulla, sta di fatto cambiando tutto. Khamenei ha pensato inizialmente di poter mettere a tacere con la forza le proteste, ma si sta rendendo conto che il Paese non è più quello di 10 o 15 anni fa. È stato contestato lui e il suo ruolo e si sono messi così in discussione i principi cardine del sistema iraniano. Il grande ayatollah dissidente Montazeri ha detto che questa non è più né una repubblica (visto che il voto dei cittadini non conta più) e non è neppure islamica, dato che sono stati picchiati e arrestati cittadini inermi che gridavano “Allah è grande” o che si riunivano per pregare su una tomba. Tutto questo non ha finora portato a un cambiamento concreto, ma si è rotto (probabilmente per sempre) un equilibrio di potere che durava dalla morte di Khomeini (1989) ad oggi. Il fronte conservatore è diviso e direi anche in parte turbato. Molti convinti sostenitori del sistema, sono oggi in crisi, non si fidano più dei compagni di un tempo. E la protesta continua, in forme diverse da quelle dei primi giorni, ma continua. Tutte le celebrazioni ufficiali sono ormai diventate occasioni per scendere in piazza e manifestare La presenza di un’opposizione diffusa è ormai innegabile e sotto gli occhi di tutti. questo è un cambiamento molto importante. Difficile dire cosa non cambierà. Credo che un tratto che resterà centrale in Iran sia proprio l’Islam. Lo è stato nell’Iran pre rivoluzionario, lo sarò anche in un eventuale Iran post rivoluzionario. La riprova è la centralità che la religione sta avendo anche per l’Onda verde. Non dimentichiamo che oggi la maggior parte dei religiosi sono contro Ahmadinejad e in molti mettono in discussione personaggi e princìpi fondamentali di questo sistema.

D: Come definiresti la posizione di Ahmadinejad oggi in Iran e, in particolare, il suo rapporto con la Guida suprema Khamenei? Ahmadinejad potrebbe essere definito, in qualche modo, un’anatra zoppa?


R: E’ un rapporto molto più complesso di come è stato spesso descritto dai media. Khamenei ha appoggiato Ahmadinejad pensando di poterlo manovrare a suo piacimento, ma non è così. Anche perché il presidente ha una visione politica e ideologica che tende a superare il concetto di velayat-e faqih, cioè del “governo del giureconsulto” su cui si basa la Repubblica islamica. Ahmadinejad è anche portatore di istanze diverse, lui viene dal popolo e crede fermamente nel ritorno dell’Imam nascosto che porterà finalmente la giustizia in Terra. Da luglio in poi, quando si è trattato di formare il governo, è iniziato un tira e molla tra presidente e Guida. In questo momento Ahmadinejad sarebbe favorevole a un accordo con la comunità internazionale sul nucleare, mentre Khamenei rimane contrario. Per il momento, sembra prevalere la linea della Guida. Ahmadinejad appare assai più traballante di un’anatra zoppa. Non è esagerato dire che è molto meno potente di un anno fa.


D: Il personaggio Khamenei, potentissimo, è forse quanto di più politicamente inquietante partorito dalla Repubblica islamica nel complicato periodo post-Khomeini. Chi è Khamenei, quali poteri ha e quali gruppi di forza economici rappresenta?


R: Credo che sia un personaggio sottovalutato. Sebbene sia dotato di scarso carisma, non dobbiamo dimenticare che è stato presidente per 8 anni e da 20 è la Guida suprema. È una figura piuttosto grigia, imposta in extremis da Khomeini poco prima di morire. E’ stato presidente della Repubblica dal 1981 al 1989 . Inizialmente, l’erede designato di Khomeini come Guida era Montazeri, figura di ben altro spessore e carisma. Khamenei non aveva nemmeno i requisiti per ricoprire quel ruolo. Venne “promosso” Grande Ayatollah in fretta e furia proprio per sostituire Montazeri che si stava smarcando dal fondatore della Repubblica islamica. Khamenei è a tutti gli effetti il Capo dello Stato iraniano. La Costituzione gli attribuisce poteri enormi: è lui il Capo delle forze armate ed è a lui che spetta l’ultima parola in politica estera. Dietro di lui ci sono i vecchi potentati economici e una parte consistente del ceto politico, soprattutto dei membri del parlamento. Dal punto di vista economico, Khamenei è sostenuto dai potentati che finora sono rimasti fedeli alla Repubblica islamica e non vedono di buon occhio la politica populistica di Ahmadinejad. Ma è una situazione molto aperta. Il bazar – inteso come centro di potere economico – è sempre stato decisivo nei cambiamenti epocali dell’Iran. Lo scorso anno aveva manifestato malumore nei confronti del presidente per la tentata introduzione dell’Iva e alle elezioni la borghesia medio alta ha votato e sostenuto Mousavi.

D: Nell’autunno 2009 si è parlato di una morte improvvisa di Khamenei, che invece è ancora vivo e in sella al potere. La Guida suprema corre seriamente il pericolo di venire “pensionato” a forza? In particolare, Ahmadinejad avrebbe la forza militare per farlo? O chi per lui?


R: Sono voci che ritornano ogni tanto. Khamenei era stato dato per morto anche nel gennaio 2007. E’ malato e anche debilitato dalle vicende degli ultimi mesi. Ma va detto che in questo momento sembra più saldo lui di Ahmadinejad. Tecnicamente, è l’Assemblea degli Esperti a poter destituire la Guida, ma è un’ipotesi che al momento sembra davvero poco probabile. Non ci sono i numeri per una decisione del genere e Rafsanjani, presidente dell’Assemblea degli Esperti, si è molto defilato dopo un’iniziale presa di posizione molto coraggiosa. Ahmadinejad non ha al momento la forza per un colpo di mano. Nemmeno i pasdaran (che rispondono per statuto direttamente alla Guida suprema) sono tutti dalla sua parte. La diatriba sul nucleare ne è la dimostrazione: Ahmadinejad vorrebbe chiudere un accordo per incassare un risultato storico. Ma se si spinge troppo avanti, Khamenei è pronto a scaricarlo e ad ammettere magari che le elezioni sono state truccate.


D: Come ha agito in questi mesi Mousavi, il leader dell’opposizione, e quali errori ha compiuto nella sua strategia?


R: Non credo che Mousavi abbia commesso particolari errori. Lui non è un personaggio antisistema. È stato premier per otto anni, crede nella Repubblica islamica. è diventato leader dell’Onda verde perché era il candidato che avrebbe potuto battere Ahmadinejad. E ci era riuscito, il 12 giugno. Su questo non ci sono dubbi. Da allora ha scelto una linea cauta che però non credo sia dettata da paura o scarsa convinzione. In diversi momenti sembrava che il suo arresto fosse imminente, ma se non si è arrivati a tanto è perché Mousavi non è caduto nelle provocazioni. Continua un lavoro politico importante, di critica e di raccordo delle anime diverse del movimento

D: È Mousavi il futuro dell’opposizione in Iran o qualcuno più credibile e meno “imparentato” con il potere potrebbe a breve presentarsi sulla scena?


R: Karroubi, l’altro grande sconfitto delle elezioni, ha certamente posizioni più aperte, più riformiste di Mousavi. Ed è indubbiamente più carismatico, ha più spessore umano e culturale. Ed è un religioso, aspetto tutt’altro che secondario. Però il futuro non è in un personaggio in particolare. L’Onda verde è un movimento orizzontale, senza veri leader e senza nemmeno una piattaforma precisa. È la sua forza, ma anche la sua debolezza. Se si punta a una transizione, sarebbe invece opportuno un personaggio interno al sistema che sia però realmente intenzionato a un’apertura nel campo delle libertà e della partecipazione. Almeno, questo è quello che penso io.


D: Ma, in realtà, quando si parla di opposizione in Iran di che cosa si parla? Quanto differisce, veramente, l’opposizione progressista dalla maggioranza conservatrice?


R: Non c’è semplicemente una maggioranza conservatrice e un’opposizione progressista. Ci sono diversi sfumature in tutti i campi. Con differenze anche profonde. Anche all’interno del “clero”, si va da posizioni radicali ad altre molto aperte e in grado di essere ancora oggi un punto di riferimento per le nuove generazioni. Ma non è nemmeno esatto rappresentare l’Iran come una dittatura assediata da una massa di giovani che vogliono la libertà. Questi sono tutti stereotipi. Un sistema non dura 30 anni se non ci sono parti consistenti della società che lo sostengono. Il che non vuol dire automaticamente che il sistema sia “democratico”. Come ha detto lo studioso francese Hourcard, l’Iran non è ancora una democrazia ma è una repubblica. E in Medio Oriente non è cosa da poco.


D: Infine: perché nel tuo ultimo, ottimo libro parli di “resa dei conti”? Tra chi e chi altri e, soprattutto, chi ha vinto e chi ha perso in questa “notte dei lunghi coltelli iraniana”? Forse, per ora, solo il popolo?


R: La resa dei conti è dell’Iran con se stesso, con la propria storia. È il momento finale di una contrapposizione tra tradizione e sviluppo che è cominciata 150 anni fa e che ha avuto nella rivoluzione del 1979 un passaggio importante ma non conclusivo. Dietro lo scontro tra blocchi di potere, c’è una contrapposizione tra blocchi sociali diversi. L’Iran di oggi non è più quello in cui nacque la Repubblica islamica e anche il mondo tutto intorno è cambiato. Cosa accadrà nessuno può dirlo, ma l’Iran non è più quello di sei mesi fa. E tutto questo proprio grazie alla grande partecipazione alle elezioni prima e alle proteste poi. Non so chi vincerà alla fine, ma di sicuro – se non ha ancora vinto – non si può nemmeno dire che abbia già perso.

venerdì 20 novembre 2009

Mercoledì 2 dicembre 2009 ore 20.30

Libreria Flexi
Via Clementina 9 (rione Monti), Roma


Incontro con Antonello Sacchetti, autore di



IRAN. LA RESA DEI CONTI
Infinito Edizioni, 2009



A seguire:

VIAGGIO IN IRAN
Racconto fotografico di Daniela Re e Fabrizio Mastroleo


«Non ricordare il giorno trascorso
e non perderti in lacrime sul domani che viene:
su passato e futuro non far fondamento
vivi dell’oggi e non perdere al vento la vita. »
(Omar Khayyām, Rubayyāt)


“Agli iraniani che mi hanno fatto sentire uno di loro”. Questa la dedica con cui Antonello Sacchetti inizia il suo ultimo libro IRAN. La resa dei conti (Infinito edizioni, 2009). Una analisi accurata della crisi che l’Iran si trova ad affrontare, un punto di vista che può aiutarci ad interpretare il turbolento periodo che sta vivendo il Paese che meno di cent’anni fa veniva chiamato Persia.

Antonello Sacchetti è nato a Roma nel 1971. Giornalista pubblicista, è fondatore e direttore responsabile della rivista telematica Il cassetto-L’informazione che rimane, www.ilcassetto.it . In passato ha lavorato per le sezioni italiane di Amnesty International e Save the Children Italia e come redattore in diverse testate. Per la Infinito edizioni ha pubblicato I ragazzi di Teheran (giugno 2006), Misteri persiani (ottobre 2008) e Iran. La resa dei conti (2009).

giovedì 12 novembre 2009

Iran. I giorni della crisi

Puntata di .DEM del 25 giugno 2009. Si parla della situazione politica iraniana a pochi giorni dalle contestatissime elezioni del 12 giugno.


mercoledì 11 novembre 2009

IRAN. LE NUOVE GENERAZIONI


RICCIONE, PALAZZO DEL TURISMO

SABATO 14 NOVEMBRE 2009 ore 21,00

I

IRAN: LE NUOVE GENERAZIONI

Tra repubblica islamica e democrazia


Interverranno:

Vanna Vannuccini, Inviata speciale di Repubblica

Alessandro Cancian, iranista, studioso di problematiche storico-religiose e antropologiche

Ahmad Rafat, iraniano, giornalista, scrittore, membro fondatore dell’associazione Iniziativa per la Libertà d’Espressione in Iran

Antonello Sacchetti, giornalista e scrittore

Felicetta Ferraro, iranista esperta aspetti storico-sociali dell’Iran.


Modera: Bruno Ruffolo, inviato del Giornale Radio Rai



mercoledì 4 novembre 2009

La guerra dei trent’anni


Onda verde di nuovo in piazza. Obama insiste sul dialogo, Montazeri fa autocritica

L’onda verde di nuovo in piazza contro il governo Ahmadinejad. Come sempre, la Repubblica islamica celebra oggi la “Giornata contro l’arroganza globale” per ricordare l’occupazione dell’ambasciata americana di Teheran. Quei 444 giorni di crisi segnarono la rottura delle relazioni diplomatiche tra Washington e Teheran e impressero anche un’accelerazione all’islamizzazione e della rivoluzione. Sul web hanno cominciato a circolare già dal mattino video di manifestazioni e scontri. Un rituale che si ripete ormai dal giugno scorso. Si parla di colpi d’arma da fuoco esplosi dalla polizia contro i manifestanti. Il leader riformista Karroubi sarebbe stato aggredito da un gruppo di persone. Mousavi sarebbe stato invece costretto dalla polizia a rimanere in casa.
Il trentennale della presa degli ostaggi è stata l’occasione per un nuovo intervento del presidente Usa Obama sulle relazioni tra Washington e Teheran. “Questo avvenimento – ha detto - contribuì a porre Stati Uniti e Iran sulla via di un prolungato sospetto, di sfiducia e confronto. La crisi ha profondamente inciso sulla vita di americani coraggiosi che vennero ingiustamente tenuti in ostaggio e dobbiamo a questi americani ed alle loro famiglie la nostra gratitudine per il loro straordinario servizio e sacrificio. L’Iran deve scegliere se aprire le porte alle opportunità o rimanere legato al passato. Abbiamo ascoltato per 30 anni le cose sulle quali il governo iraniano è contro. La questione, ora, è quale tipo di futuro desiderano ed è tempo per il governo iraniano di scegliere se vuole restare focalizzato sul passato, o se se vuole aprire le porte a migliori opportunità, prosperità e giustizia per il suo popolo. Ho detto chiaramente che gli Stati Uniti d'America vogliono superare questo passato, e cercano una relazione con la Repubblica islamica dell'Iran basata sugli interessi e sul rispetto reciproci. Abbiamo chiarito che se l'Iran assolve agli obblighi che ogni nazione ha si muoverà in direzione di una più produttiva relazione con la comunità internazionale”.

Obama continua dunque a tendere la mano tesa all’Iran, nonostante le risposte sulla questione nucleare siano tutt’altro che chiare. La Guida suprema ha dichiarato che dietro la mano tesa, il presidente statunitense “tiene come sempre un pugnale” e ha ha ribadito il suo no a negoziati i cui risultati “siano stabiliti in partenza dagli Usa”.

Una rilettura critica della crisi degli ostaggi viene dal grande ayatollah dissidente Montazeri: “L’occupazione dell’ambasciata americana dopo la vittoria della rivoluzione fu sostenuta dalla maggior parte dei gruppi rivoluzionari e in ultimo dall’Imam Khomeini, ma dopo le reazioni negative del popolo americano, rimaste tali fino ad oggi, è chiaro che quella non fu la cosa giusta da fare”. Meglio tardi che mai, verrebbe da commentare. Ma si tratta in realtà di un’analisi importante, perché oggi nel fronte riformista ci sono diversi esponenti di quegli “Studenti seguaci dell’Imam” che nel 1979 occuparono l’ambasciata col dichiarato intento di dare vita a una “seconda rivoluzione”. Tra di loro, ricordiamo Mohsen Mirdamadi, segretario del partito Mosharekat, arrestato dopo le elezioni di giugno a attualmente incarcerato a Evin.

Montazeri sostiene che che l’occupazione fu “una dichiarazione di guerra e questo non è giusto. (…) Se gli interessi nazionali richiedono che le relazioni con gli Usa siano ristabilite, non bisonga creare tensioni e sfiducia con slogan senza senso che aggravano soltanto la situazione”. Chiaro il riferimento alle dimostrazioni governative in cui si continua a gridare “Marg bar Amrika”, “Morte all’America”.

Montazeri ha poi dichiarato che “il potere militare, la repressione e il silenzio forzato del popolo non portano risultati perché soltanto il vero sostegno popolare dà forza a un regime. Secondo me il governo dovrebbe, con una decisione coraggiosa e prudente, rilasciare immediatamente i prigionieri politici e permettere la pubblicazione dei giornali messi al bando e rimuovere tutti gli organi che limitano la libertà d’opinione. Soltanto così il regime sarà in grado di partecipare a trattative con forza e gloria. Combattere l’arroganza non significa fare la guerra alle nazioni, creare risentimento e procurare nemici al Paese e isolarlo”.



martedì 3 novembre 2009

Il 4 novembre su Radio Città Futura

Mercoledì 4 novembre, nel trentennale dell'occupazione dell'ambasciata Usa di Teheran, Antonello Sacchetti interverrà su Radio Città Futura per parlare dell'attuale situazione in Iran e per presentare il suo ultimo libro Iran. La resa dei conti.

L'appuntamento è alle ore 8,45 sulle frequenze 97.7 di Roma.
http://www.radiocittafutura.it/Home.aspx

venerdì 30 ottobre 2009

Il signor boh


L’Iran accetta di collaborare sulla questione nucleare, ma i dettagli della riposta all’Aiea sono ancora poco chiari

È un sì o un no? O un forse? Sui giornali di tutto il mondo impazza la discussione sulla risposta iraniana alla proposta Aiea sull'arricchimento dell'uranio. Secondo il New York Times si tratterebbe di un sostanziale rifiuto, visto che manca la disponibilità a trasferire all’estero la maggior parte delle riserve di uranio. Analisi che contrasta con i giudizi positivi espressi da molti dopo il discorso tenuto il 29 ottobre da Ahmadinejad nella città di Mashad. Il presidente iraniano si era detto pronto a collaborare con l’Occidente, pur non volendo arretrare di “uno iota” sui suoi diritti nucleari. La risposta consegnata all’Aiea dal rappresentante iraniano all'Agenzia internazionale per l'energia atomica Ali-Asghar Soltanieh è sì favorevole ma contiene chiede "importanti emendamenti tecnici ed economici". Di cosa si tratti non è chiaro. Secondo il quotidiano conservatore Javan (filo pasdaran), l’Iran vorrebbe un trasferimento graduale delle proprie scorte di uranio in Russia e non in un’unica soluzione. Il segretario di Stato Usa Hillary Clinton dichiara di aspettare “ancora una risposta definitiva da Teheran”.
Il dato politico è comunque l’intenzione di Ahmadinejad di arrivare a un accordo. Il suo discorso a Mashad potrebbe essere letto come il tentativo di forzare la situazione e accelerare i tempi. Ha bisogno di un successo per recuperare legittimità a livello internazionale dopo i brogli elettorali di giugno, ma soprattutto per vincere il confronto interno sia con i riformisti sia con Khamenei. Non dobbiamo dimenticare che secondo la Costituzione iraniana la politica estera è una delle prerogative della Guida suprema.


Da notare come il leader riformista Mousavi abbia criticato duramente le trattative in corso. "I colloqui di Ginevra - ha detto - sono stati veramente sorprendenti e se verrà realizzato quanto promesso all'Occidente allora il duro lavoro svolto da migliaia di scienziati andrà perso. Se non siamo in grado di mantenere le promesse allora dobbiamo prepararci a un inasprimento delle sanzioni contro il nostro Paese". Segno evidente che la questione nucleare è terreno di scontro interno alla Repubblica islamica. Si preannunciano altri giorni caldi: il 4 novembre saranno 30 anni dall’occupazione dell’ambasciata americana che determinò la rottura delle relazioni diplomatiche tra Iran e Usa. Questa ricorrenza potrebbe trasformarsi in una nuova occasione di mobilitazione per l’onda verde, proprio come accaduto a settembre per la Giornata per Qods.

mercoledì 28 ottobre 2009

Ancora 48 ore

L’Iran prende di nuovo tempo sulla questione nucleare. Dietro al rinvio, la sfida tra Ahmadinejad e Khamenei

Proprio come il titolo del film di Walter Hill con Eddie Murphy e Nick Nolte: l’Iran prende ancora tempo per dare una risposta definitiva alla proposta di accordo sull'uranio arricchito messa a punto il 19 ottobre a Vienna, oltre che dall'Iran, da Russia, Stati Uniti e Francia sotto l’egida dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica). Teheran vorrebbe però “modifiche importanti”.

La proposta richiede all’Iran di inviare il 75 per cento delle sue scorte di uranio a basso arricchimento (1,2 tonnellate sul totale di 1,5 tonnellate) in Russia entro la fine dell’anno. La Russia provvederebbe ad arricchire l’uranio di un 20 per cento e ad inviarlo in Francia per convertirlo in combustibile da utilizzare nel reattore di Teheran.

In cosa consisterebbero le “importanti modifiche” richieste dall’Iran, non è chiaro. Anche perché non ci sono state vere dichiarazioni ufficiali, ma soltanto notizie riportate dalla televisione iraniana.

Sembra però evidente che questo temporeggiamento rifletta ancora una volta le divisioni all’interno del potere iraniano. Più in particolare, sarebbe la Guida suprema Khamenei – attraverso le dichiarazioni di suoi fedelissimi quali il presidente del Parlamento Ali Larijani – a frenare sulla trattativa diretta con gli Usa, mettendo in difficoltà Ahmadinejad, che appare invece più propenso al raggiungimento di un accordo.

Sembra di assistere, mutatis mutandis, al braccio di ferro tra Khomeini e l’allora presidente Bani Sadr durante l’infinita questione degli ostaggi dell’ambasciata americana (4 novembre 1979 – 20 gennaio 1981). Ogni volta che Bani Sadr si avvicinava a una soluzione, Khomeini poneva ostacoli. Fino alla completa delegittimazione del presidente, che infatti pochi mesi dopo fu addirittura costretto alla fuga.

Anche ora Khamenei punta a riaffermare la propria supremazia in politica estera, come stabilito dalla Costituzione iraniana. Per Ahmadinejad un accordo non sarebbe soltanto un successo in campo internazionale, ma anche l’affermazione di essere in grado di andare – se non proprio “contro” – per lo meno “oltre” il volere della Guida suprema. Il che sarebbe una svolta enorme nella storia della Repubblica Islamica.

sabato 24 ottobre 2009

Giro di boa

A 4 mesi dalla proclamazione del vincitore delle elezioni presidenziali, che cosa e' cambiato in Iran? E come ha reagito l'establishment all'onda verde? Cosa si nasconde dietro l'attentato del 18 ottobre che ha colpito duramente i potentissimi Pasdaran? Quali i rapporti fra la minoranza sunnita e la maggioranza sciita?
Annalisa ed Alessandra ne parlano con Farian Sabahi docente all'Universita' di Torino, nonche' giornalista professionista, impegnata in questioni islamiche su diverse testate ed autrice di numerosi saggi; e con Antonello Sacchetti, giornalista, fondatore e direttore della rivista telematica Il cassetto-L’informazione che rimane, autore di Iran. La resa dei conti.

Ascolta la trasmissione:
http://www.archive.org/download/GDB20091022/GDB20091022.mp3

lunedì 19 ottobre 2009

Video della presentazione





Attentato nel Belucistan, le verità nascoste


È impossibile accertare una responsabilità diretta di Usa e Gran Bretagna nel tremendo attentato che ha fatto strage di pasdaran nel Belucistan iraniano, ma è innegabile che Jundullah e gli altri gruppi armati sunniti abbiano ricevuto negli ultimi anni il sostegno economico e politico di Pakistan, americani e inglesi. Ricordiamo che il sostegno alle rivendicazioni delle minoranze etniche è stato persino teorizzato dal Dipartimento di Stato Usa in epoca Bush. Il cosiddetto “impazzimento della maionese iraniana” era visto come uno dei mezzi con cui arrivare a un regime change a Teheran.


Ora è chiaro che con Obama le cose sono cambiate o stanno per cambiare, ma il controllo di gruppi come Jundullah non è mai così diretto e non si può nemmeno escludere che dentro la CIA esistano elementi che – più o meno apertamente – remino contro il nuovo corso della “mano tesa”.


Non sono perciò campate in aria le accuse di Ahmadinejad. Ricordiamo che già in passato in Belucistan e in altre regioni iraniane ci sono stati attentati come questo, soltanto che i media occidentali non ne hanno parlato. Con i pasdaran è stato colpito il blocco politico emergente, impegnato ormai da anni in un espansionismo economico che sta ridisegnando la mappa del potere iraniano. In questo momento, la strage di pasdaran è un ulteriore elemento di crisi in un contesto di per sé instabile e poco chiaro.

martedì 13 ottobre 2009

Presentazione a Roma

BIBLIOTECA RISPOLI E INFINITO EDIZIONI
vi invitano alla presentazione del nuovo libro di
ANTONELLO SACCHETTI
IRAN
La resa dei conti
Roma
giovedì 15 ottobre ore 19.00
Biblioteca Rispoli Piazza Grazioli, 4

Intervengono, con l’Autore,Daniela de Robert giornalista
e Riccardo Noury Amnesty International

Che cosa è accaduto in Iran dalle elezioni del 12 giugno a oggi? La crisi in Iran dell’estate 2009 non è solo elettorale. È la crisi di un regime, di un sistema di valori, dei suoi protagonisti.
Esattamente trent’anni dopo la rivoluzione e venti dopo la morte di Khomeini, le diverse forze politiche e sociali dell’Iran sono entrate in rotta di collisione. È perciò sbagliato ridurre la crisi post-elettorale a uno scontro tra potentati politici in cui i cittadini vengono usati come pedine. Le proteste di piazza sono fenomeni autentici e rappresentativi di una società che è cresciuta a una velocità maggiore rispetto alla politica.
Il risultato di questa combinazione di fattori è una “tempesta perfetta” inattesa e dirompente, che si è abbattuta sull’establishment politico iraniano e ha costretto il mondo intero a guardare questo Paese con occhi nuovi. Questo libro, scritto da uno dei principali esperti italiani, vuole raccontare cosa è accaduto e ipotizzare che cosa sarà l’Iran di domani.
Che cosa nascerà da questi mesi di manifestazioni e dura repressione è difficile dirlo. Ma dopo aver letto Iran. La resa dei conti forse avremo imparato anche noi a “non sottovalutare mai l’Iran”, come scrive Sacchetti, e a non escludere che si possa arrivare a una via iraniana alla democrazia (dalla prefazione di Daniela de Robert).

Per scaricare la scheda del libro e la prefazione di Daniela De Robert:http://www.infinitoedizioni.it/prodotto.php?tid=71#

L’autore
Antonello Sacchetti è nato a Roma nel 1971. Giornalista, è fondatore e direttore responsabile della rivista telematica Il cassetto-L’informazione che rimane (http://www.ilcassetto.it). In passato ha lavorato per le sezioni italiane di Amnesty International e Save the Children Italia e come redattore in diverse testate. Ha scritto per Infinito edizioni i saggi I ragazzi di Teheran (2006) e Misteri persiani (2008).

giovedì 8 ottobre 2009

Hafez


A Cana farà pure ritorno Giuseppe smarrito,
tu non t’angustiare.
Sarà un giorno la camera ardente un roseto,
tu non t’angustiare.
S’allevierà, il male, sul cuore che ha tanto sofferto, tu non disperare,
si farà questo capo sconvolto di nuovo sereno,
tu non t’angustiare.
A noi non fu il volger di sorte per due giorni gradito, però i tempi non son sempre uguali,
tu non t’angustiare.
Si farà primavera di vita, di nuovo sul trono del prato, ti farà ombra una rosa, usignolo canoro,
tu non t’angustiare.
Travolga, cuore, il diluvio del nulla, i pilastri all’esistere nostro, stringe in pugno il timone Noè nel Diluvio,
tu non t’angustiare.
Non perdere, bada, speranza, poiché non conosci il mistero celato:
dietro al velo son giochi nascosti,
tu non t’angustiare.
(Hafez, Canzoniere)

Illusione verde


Non ce la facevo, non ce la facevo più.
Il rumore dei passi si alzava dal rifiuto della strada
E la mia disperazione era divenuta più grande
Della pazienza del mio spirito
E quella primavera,
E quell’illusione color verde
Che passò per lo spiraglio, diceva al mio cuore:
«Guarda, tu non hai mai progredito, tu sei affondata».
(Forugh Farrokhzad, Illusione verde)

lunedì 5 ottobre 2009

venerdì 2 ottobre 2009

Ginevra, Teheran



Diciamolo subito chiaramente: il 1° ottobre 2009 potrebbe essere ricordato in futuro come l’inizio di una nuova era nella storia delle relazioni tra Usa e Iran. Probabilmente i media occidentali sottovalutano l’importanza del risultato dei colloqui di Ginevra tra Teheran e gruppo dei “5+1” (Consiglio di sicurezza Onu + Germania). Teheran accetta le ispezioni nucleari e ha invitato l’Aiea a visitare entro un paio di settimane gli impianti di Qom. Soprattutto, la Repubblica islamica ha proposto un progetto per l’arricchimento esterno dell’uranio necessario al funzionamento di un impianto nucleare medico a Teheran. Come suggeriscono diversi quotidiani statunitensi, la maggior parte dell’uranio iraniano potrebbe essere arricchito in Russia. In questo modo, secondo il vicesegretario di Stato Usa William Burns, “gran parte del materiale fissile iraniano sarebbe neutralizzato e reso inadatto ad applicazioni militari”. È stato fissato al 18 ottobre un nuovo vertice che dovrebbe produrre un accordo quadro. C’è lo spazio, cioè, per un accordo più ampio, che includa anche “tematiche globali”. Cosa cerchi Teheran è noto: il riconoscimento del proprio ruolo nell’area e la garanzia che Washington rinunci a progetti di regime change. Obama si è detto moderatamente soddisfatto, ma quanto avviato a marzo con l’ormai celebre messaggio video è giunto oggi a una tappa molto importante.


Le conseguenze sulla situazione politica interna

Tutto questo ha un’inevitabile ricaduta sulla situazione politica interna dell’Iran. Innanzitutto, la questione nucleare sta funzionando da ottimo diversivo rispetto ai problemi politici interni, che rimangono tutti aperti. La stampa internazionale non parla quasi più del dissenso e della repressione politica e persino i media iraniani d’opposizione sono in questi giorni molto cauti nel valutare la posizione di Teheran sul nucleare. Gli iraniani sono un popolo nazionalista, orgoglioso del progresso scientifico raggiunto. L'Iran è circondato da potenze atomiche e la situazione attuale riguardo all'uranio dà una sponda a Mahmud Ahmadinejad, che può presentarsi come uno presidente che ha a cuore gli interessi del suo paese. Non bisogna nemmeno dimenticare che tutti e quattro i candidati alle ultime presidenziali erano favorevoli al programma nucleare, seppure con sfumature diverse.


Le manifestazioni a Teheran

Secondo l'agenzia di stampa Mehr, il Capo della polizia iraniana Moqaddam ha emesso il 30 settembre un mandato di arresto per dieci agenti di polizia coinvolti nei casi di abusi e violenze sui detenuti nella famigerata prigione di Kahrizak. Un’azione tardiva e insufficiente ma che comunque indica come una parte dell’establishment desideri una riconciliazione nazionale. Le manifestazioni dell’ultimo venerdì di Ramadan hanno dimostrato che l’opposizione non è affatto sparita. Mousavi ha parlato dell’onda verde come di un “bambino piccolo che ha imparato a camminare incredibilmente in fretta”. Le manifestazioni studentesche di lunedì 28 settembre ne sono un esempio. Ahmadinejad ha dovuto cambiare in fretta il suo programma e rinunciare alla visita all’università di Teheran, mentre il ministro della Scienza, ricerca e tecnologia Kamran Daneshjoo (il cui cognome in persiano vuol dire “studente universitario”) ha tenuto un discorso in un’aula pressoché deserta.


Progetti e teorie

Una testata tedesca aveva parlato nei giorni scorsi del progetto di una parte dell’establishment per destituire Ahmadinejad con il sindaco di Teheran Qalibaf, conservatore molto vicino alla Guida suprema Khamenei. Sembra quasi fantapolitica: come destituire il presidente? Dietro questa ipotesi c’è un possibile scandalo politico-economico. Secondo il quotidiano on line Etemaad.ir, starebbe per partire un’inchiesta su un buco di 300 milioni di dollari nei bilanci del comune della capitale quando sindaco era l’attuale presidente. Qualcuno parla di un riavvicinamento tra Khamenei e Rafsanjani. Quest’ultimo, nelle ultime due settimane ha avuto un comportamento piuttosto misterioso, non presenziando alla dichiarazione finale con cui l’Assemblea degli Esperti (organo da lui presieduto) confermava pieno appoggio alla Guida suprema. Tanto che l’ex candidato riformista Karroubi agli ha chiesto in una lettera “Sei con noi o contro di noi?”. L’ayatollah dissidente Montazeri è tornato nuovamente a farsi sentire: "Non è possibile continuare a governare ricorrendo alla forza, all'intimidazione e con uno stato ormai militarizzato".


I pasdaran fanno shopping

Sono riprese a circolare voci sulla precarietà della salute di Khamenei. Una sua uscita di scena aprirebbe un vuoto di potere che i pasdaran sono quanto mai intenzionati ad occupare. Una dimostrazione dell’espansionismo economico del gruppo di potere che fa capo ad Ahmadinejad è stato l’acquisto – attraverso tre gruppi finanziari - del 51 per cento dell’azienda nazionale delle telecomunicazioni (Mokhaberat). Un’operazione da 8 miliardi dollari. Sembra però che ci siano problemi a saldare la prima rata del pagamento. L’Iran – soprattutto se l’accordo con gli Usa si concretizzerà – è un Paese dalle potenzialità economiche enormi. E per il controllo di queste opportunità la lotta è appena cominciata.

mercoledì 30 settembre 2009

Intervista audio per Agenzia Multimediale Italiana

Intervista di Valentina Venturi su Iran e questione nucleare.
Per ascoltare clicca qui.

Primo salone dell'Editoria sociale

Il libro sarà al primo salone dell'Editoria sociale, in programma a Roma dal 2 al 4 ottobre presso l'ex Gil a Trastevere, Largo Ascianghi 5.

Presentazione a Roma giovedì 15 ottobre

Si svolge presso la Biblioteca Rispoli (Piazza Grazioli, 4) la prima presentazione del libro "Iran. La resa dei conti", di Antonello Sacchetti. Con l'autore, interverranno Daniela de Robert (giornalista) e Riccardo Noury (Amnesty International).
Segue la mostra fotografica "La donna velata" di Marjan Ghiassi. A cura dell'Associazione culturale italo-iraniana Alefba.
L'appuntamento è giovedì 15 ottobre alle ore 19.00

Che cosa è accaduto in Iran dalle elezioni del 12 giugno a oggi?

La crisi in Iran dell’estate 2009 non è solo elettorale. È la crisi di un regime, di un sistema di valori, dei suoi protagonisti.

Esattamente trent’anni dopo la rivoluzione e venti dopo la morte di Khomeini, le diverse forze politiche e sociali dell’Iran sono entrate in rotta di collisione. È perciò sbagliato ridurre la crisi post-elettorale a uno scontro tra potentati politici in cui i cittadini vengono usati come pedine. Le proteste di piazza sono fenomeni autentici e rappresentativi di una società che è cresciuta a una velocità maggiore rispetto alla politica.

Il risultato di questa combinazione di fattori è una “tempesta perfetta” inattesa e dirompente, che si è abbattuta sull’establishment politico iraniano e ha costretto il mondo intero a guardare questo Paese con occhi nuovi. Questo libro, scritto da uno dei principali esperti italiani, vuole raccontare cosa è accaduto e ipotizzare che cosa sarà l’Iran di domani.

Che cosa nascerà da questi mesi di manifestazioni e dura repressione è difficile dirlo. Ma dopo aver letto Iran. La resa dei conti forse avremo imparato anche noi a “non sottovalutare mai l’Iran”, come scrive Sacchetti, e a non escludere che si possa arrivare a una via iraniana alla democrazia (dalla prefazione di Daniela de Robert).