giovedì 17 febbraio 2011

Iran. Il ritorno dell'Onda Verde

Dopo oltre un anno di silenzio l'Onda Verde iraniana torna in piazza nonostante il divieto delle autorità. A Teheran si contano due morti e circa 1.500 arresti. I deputati conservatori si scagliano contro i leader dell'opposizione Moussavi e Karroubi, mentre gli Stati Uniti si schierano con i manifestanti.

Antonello Sacchetti ospite su Youdem Tv nella puntata di Linea Mondo del 16 febbraio:


martedì 15 febbraio 2011

L’anello mancante


A Tehran torna in piazza l’Onda Verde. Ma l’Iran non è né l’Egitto né la Tunisia


“Tutto è simbolo e analogia”, sosteneva Fernando Pessoa. Sembra mossa da una simmetria fatale l’attuale situazione in Medio Oriente. Sembra soltanto o è davvero? Tunisia, Egitto, ora Iran? Forse sarebbe il caso di dire, “di nuovo Iran”. Perché le manifestazioni del 14 febbraio, 25 Bahaman per il calendario persiano, hanno rappresentato il ritorno dell’Onda verde dopo un anno di assenza dalle piazze. Si è scritto e parlato di scontri e arresti. Le vittime accertate sarebbero due.


Che bilancio possiamo trarre? Innanzitutto che l’Onda verde è viva e capace ancora di creare problemi al governo iraniano. Il movimento ha vissuto una fase di sostanziale “ibernazione” dopo gli scontri dell’Ashura dello scorso anno (27 dicembre 2009). Si attendeva una grande prova di forza per l’11 febbraio di un anno fa (giorno dell’anniversario della Rivoluzione iraniana) ma in quel caso la macchina della repressione fu molto efficace e la mobilitazione fallì.
Invece questo 14 febbraio 2011 è indubbiamente un successo a favore dell’opposizione. Molto probabilmente le persone in piazza a Teheran non erano “centinaia di migliaia” ma alcune migliaia. Siamo molto lontani dalle manifestazioni oceaniche del giugno 2009. Ma che sia stato un successo lo dimostrano l’imbarazzo e il nervosismo della Guida suprema e dei conservatori.
Il successo è anche dei leader dell’opposizione, Moussavi, Karroubi e Khatami, che queste manifestazioni avevano indetto. Non saranno certo le “facce nuove” che molti iraniani vorrebbero vedere, ma di sicuro continuano a giocare un ruolo importante nella scena politica iraniana. Anche perché tra un anno si vota per il parlamento e tra due ci sarà per forza un nuovo presidente della Repubblica, dato che la costituzione impedisce ad Ahmadinejad di correre per il terzo mandato consecutivo.


I manifestanti cantavano: “Mubarak, Ben Alì, ora tocca a Seyyed Alì (Khamenei)”. Difficile stabilire un parallelo con i casi della Tunisia e dell’Egitto. L’Iran è un sistema politico completamente diverso e molto più articolato di quelli tunisino ed egiziano. L’eventuale (e comunque per ora poco probabile) uscita di scena della Guida Suprema, non sarebbe equiparabile alle dimissioni di un Mubarak o di un Ben Ali. Il sistema iraniano è più complicato, più articolato e anche più “resistente” alle scosse.


Sebbene fiaccato dalla crisi economica e dalle divisioni interne, la Repubblica islamica ha ancora una base di consenso, soprattutto nei ceti popolari. Consenso non vuol dire necessariamente entusiasmo, ma molto più semplicemente convenienza.


Inoltre, mentre Mubarak si reggeva grazie all’appoggio degli Usa, l’Iran non ha “sponsor” esterni che possano condizionare il suo destino. Prima di avventurarci in paragoni arditi, forse ci sono ancora d’aiuto i versi di Pessoa:


Tutto ciò che vediamo è qualcos'altro. / L'ampia marea, la marea ansiosa, / è l'eco di un'altra marea che sta / laddove è reale il mondo che esiste. / Tutto ciò che abbiamo è dimenticanza.

Tensione in Iran

La polizia e altre forze di sicurezza iraniane controllano i punti nevralgici di Teheran, in vista della manifestazione indetta per oggi pomeriggio dall'opposizione, a sostegno delle rivolte in Egitto e Tunisia. La dimostrazione, organizzata anche attraverso Internet, non è stata autorizzata dalle autorità della Repubblica islamica. Uno dei leader dell'opposizione, Mir Hossein Mussavi, è stato posto in stato di isolamento nella sua casa della capitale, come successo giovedì scorso ad un altro capo del fronte anti-governativo, Mehdi Karrubi. Ma perché Teheran, che pure ha appoggiato le proteste del Cairo e di Tunisi, ha vietato le manifestazioni? Giada Aquilino lo ha chiesto ad Antonello Sacchetti, autore del libro “Iran, la resa dei conti”:

R. - Si teme che ritorni in piazza l’“onda verde”, quel movimento di protesta che, nell’estate del 2009, si è fatto conoscere in tutto il mondo e che probabilmente è servito anche da modello e da esempio per gli egiziani, con quello che poi è successo al Cairo. Ufficialmente il governo di Teheran si è schierato con i manifestanti egiziani e quindi contro Mubarak. Diciamo ufficialmente, anche perché da un punto di vista geopolitico la caduta di Mubarak è sicuramente gradita a Teheran ma si teme anche, certamente, un effetto di esempio perché, comunque sia, quel movimento in Egitto non è un movimento che politicamente ed ideologicamente è affine ai governanti di Teheran. E’ invece più simile appunto all’“onda verde”.

D. - Cosa resta dell’“onda verde” del 2009?

R. - Gli eventi di questi ultimi giorni - se non altro anche a livello di discussione e di dibattito, sia concreto sia reale a Teheran e sia, tramite Internet, in tutto il mondo - dimostrano che questo movimento è vivo e vegeto. Anzi, la preoccupazione che ha destato nell’establishment di Teheran vuol dire che effettivamente quello che è iniziato allora non si è esaurito. L’ultimo grande evento, in fondo, è stato quel 27 dicembre 2009, cioè il giorno dell’Ashura, quando ci furono anche degli scontri a Teheran. Poi si attendeva una grande prova di forza per l’11 febbraio di un anno fa - che è il giorno dell’anniversario della Rivoluzione iraniana - ma in quel caso scattò la macchina della repressione. Diciamo che tutto fu fatto passare in sordina. Però le istanze che erano alla base di quel movimento ed anche il dibattito politico scatenatosi allora non si è esaurito.

D. - Quindi l’“onda verde” di oggi cosa chiede?

R. - Torna a chiedere quello per cui era scesa in piazza due anni fa. Innanzitutto non dobbiamo dimenticare che allora scese in piazza contro un voto chiaramente manipolato. In questo momento ritorna in piazza per chiedere in primis il diritto di dissenso, il diritto di partecipazione alla vita politica e dà voce anche ad un malcontento molto diffuso, perché in Iran, nel 2009, la gente era stanca della politica economica del governo Ahmadinejad ed oggi lo è ancora di più: l’effetto della crisi - unito anche all’embargo - si sta facendo sentire molto. Questa rivolta, questo movimento che abbiamo visto prima in Tunisia ed ora in Egitto, che si muove in Algeria e probabilmente nello Yemen, si sta diffondendo. Credo che l’esempio iraniano sia stato molto importante. L’esempio iraniano è l’esempio della protesta; come il governo iraniano reagirà a ciò è tutto da vedere. Allora si poteva contare anche su una situazione abbastanza chiusa, oggi - con una crisi che in Medio Oriente sta un po’ dilagando - i timori probabilmente sono maggiori di allora. (vv)

giovedì 10 febbraio 2011

Cairo, Teheran


L’Onda Verde iraniana guarda alla rivolta egiziana e riprende coraggio. Differenze e analogie tra le due situazioni


Ci sono analogie tra la situazione politica egiziana e quella iraniana? Quanto sta accadendo al Cairo influenzerà il futuro immediato di Teheran? Sarebbe sbagliato considerare il Medio Oriente come un’area politica omogenea. Ci sono differenze sostanziali già tra Tunisia e Algeria, Paesi vicini e con una storia simile. Simile ma non identica. Basti pensare al fatto che l’Algeria è stata colonia francese, mentre la Tunisia è stata “solo” un protettorato. Differenza non banale, che ha determinato una diversa maturità della società civile e dell’apparato statale nel passaggio all’indipendenza.


Ancora più grandi le differenze tra due grandi Paesi come l’Egitto e l’Iran. Tahseen Bashir, diplomatico e intellettuale egiziano scomparso nel 2002, sosteneva che il suo Paese e l’Iran sono I soli veri Paesi del Medio Oriente, mentre tutti gli altri non sono che “tribù con le bandiere”.



Due grandi Paesi con destini che si intrecciano, si specchiano, si contrappongono. Eredi di due grandi civiltà preislamiche, due grandi imperi che hanno lasciato tracce profonde nella cultura dei due Paesi. Nell’Iran contemporaneo c’è ancora molto della Persia antica. A cominciare dalle Feste di origine zoroastriana, ad esempio. L’Egitto dei Faraoni è forse più relegato ai musei che al vissuto quotidiano, ma rimane comunque un elemento importante del patrimonio culturale del Paese nordafricano, soprattutto come richiamo turistico.


L’Egitto è un Paese a maggioranza sunnita, ma tra il X e il XII secolo conobbe un’epoca di grande sviluppo sotto il califfato sciita dei Fatimidi. In epoca più recente, vale la pena ricordare che l’iraniano Mossadeq prima (e per breve tempo) e l’egiziano Nasser poi sono stati paladini nazionalisti contro l’ingerenza dei Paesi occidentali.


È in Egitto che nasce il movimento dei Fratelli Musulmani, ma è in Iran che nel 1979 scoppia la rivoluzione che porterà alla creazione della Repubblica islamica. Lo spiega molto efficacemente Vali Nasr nel suo Forces of Fortune: “Avvenne tutto rapidamente. Il mondo musulmano cambio drammaticamente nei brevi 32 mesi che sperarono il ritorno dell’Ayatollah Khomeini in Iran il 1° febbraio 1979 e l’assassinio di Anwar Sadat al Cairo, il 6 ottobre 1981. In quei mesi di grandi sconvolgimenti le forze della rivoluzione islamica presero il potere in Iran; il Pakistan si proclamò Stato islamico; l’Unione Sovietica scatenò una jihad invadendo l’Afghanistan: e il presidente egiziano Anwar Sadat fu assassinato da fondamentalisti radicali. Da quegli anni fatidici, ci sono state molte altre rivolte violente, sconti mortali, attacchi terroristici e repressioni sanguinose, insieme all’inasprirsi di comportamenti conservatori islamici e dell’antiamericanismo ha attraversato molti Paesi dal Nord Africa al Sud Est asiatico. In questo calderone è maturato l’estremismo, dando origine ad al Qaeda e al suo culto della violenza e alla sua fosca visione del mondo”.


Nell’estate 2009, dopo le grandi manifestazioni dell’Onda Verde, in molti Paesi arabi si guardava all’Iran con un misto di invidia e ammirazione. Certo, le proteste erano state soffocate, si contavano morti, feriti, imprigionati e “scomparsi”. Ma il popolo iraniano aveva avuto il coraggio di sfidare il potere, di ribellarsi ai brogli elettorali.


Un anno e mezzo dopo gli egiziani sono intenzionati a farla finita con un presidente padrone, che governo con la legge marziale proprio dal 1981 e che di elezioni ne ha truccate a non finire. Perché non si sono ribellati prima? Forse perché le condizioni dell’economia non erano così disastrate come ora, forse perché oggi il “faraone” sembra vacillare sotto il peso degli anni, della malattia e delle nefandezze dello Stato di polizia da lui guidato a lungo. È ancora in piedi solo perché ha ancora l’appoggio (non più illimitato) dell’Occidente. E questa è la grande differenza con l’Iran. La Repubblica islamica è per tutti (o quasi) una dittatura da 32 anni. Che l’Egitto non sia una democrazia sembra che ce ne accorgiamo solo ora. E qualcuno fa ancora finta di non capirlo. Per citare un vecchio adagio della CIA, Mubarak sarà pure un figlio di puttana, ma è un “nostro” figlio di puttana.


L’establishment di Tehran guarda al Cairo con angoscia mascherata da entusiasmo. Per la Guida suprema Khamenei la rivolta egiziana sarebbe “un riflesso" della rivoluzione iraniana del 1979. Dichiarazione tanto forzata da diventare ridicola. A parte il lunghissimo tempo di reazione (32 anni) che il verbo della rivoluzione iraniana avrebbe impiegato per raggiungere il Nord Africa, è improponibile un parallelo tra l’Egitto di oggi e l’Iran del 1979. Tra i manifestanti del Cairo sembra prevalere finora un approccio non ideologico. Gli stessi Fratelli Musulmani sembrano avere finora un ruolo marginale. Anche se proprio da loro è arrivata la sconfessione più esplicita – via comunicato ufficiale - della “benedizione” di Khamenei: la “rivoluzione” egiziana è popolare, non islamica. Persino il rettorato della celebre università di Al-Ahzar si è sentita in dovere di rispedire al mittente le avances di Teheran.


Ma lo sguardo di Khamenei e del governo iraniano è rivolto soprattutto in casa propria. L’11 febbraio si celebrano i 32 anni della Rivoluzione. Per il 14, (25 Bahman per il calendario persiano) l’opposizione ha deciso di tornare in piazza, organizzando una manifestazione di solidarietà con gli egiziani. Il giornale on line Ghalam-e Sabz, vicino a Mousavi, ha scritto che “il popolo del Medio Oriente è contro la dittatura, sia essa in nome della religione o secolarista”.
Ha rifatto capolino persino l’ex presidente Rafsanjani, che dichiarato che “le crisi in Egitto e Tunisia indicano che questi Paesi non hanno Saputo ascoltare le voci di protesta dei loro popoli, o non le hanno volute ascoltare. Queste rivolte non si limiteranno a queste due nazioni”.


Hossein Hamedani, comandante dei Pasdaran ha ammonito: “I sediziosi devono sapere che li consideriamo come anti-rivoluzionari e spie e che ci opporremo con forza alle loro minacce". A questo è seguito l’arresto ai domiciliari dell’altro leader dell’opposizione Mehdi Karroubi. Dichiarazioni e azioni che tradiscono un grande nervosismo a Teheran. a questo punto non è così significativo se le manifestazioni di lunedì 14 febbraio e quante persone parteciperanno. Dopo un anno di silenzio, l’Onda Verde è viva e capace ancora di spaventare il potere. Come scrive Eugenio Montale: “La storia non si snoda come una catena di anelli ininterrotta./ In ogni caso molti anelli non tengono”.


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