venerdì 10 dicembre 2010

Caos Sakineh

Per la seconda volta in un mese il ‘Comitato internazionale contro la lapidazione’ dà una notizia sbagliata. E tutti la riprendono

Sakineh libera. Anzi no. Nel giro di poche ore si è rivelata infondata la notizia della liberazione della donna condannata a morte per lapidazione. Per lo meno azzardato fare previsioni sul suo destino, visto che da mesi le autorità iraniane sostengono che la vicenda processuale non è ancora conclusa. Quello che colpisce di questa vicenda, non solo degli ultimissimi sviluppi, è la totale inattendibilità delle fonti.

Praticamente tutte le comunicazioni sul caso provengono dal sedicente “Comitato internazionale contro la lapidazione” e dal “Consiglio centrale degli ex-musulmani”, organizzazioni che fanno entrambe capo a Mina Ahadi, dissidente iraniana residente da anni in Germania.

La stessa persona dalla quale lo scorso 4 novembre partì il falso allarme dell’imminente esecuzione di Sakineh. Allarme subito strombazzato a tutto il mondo dall’attivissimo filosofo francese Bernard-Henry Lévy, sempre in prima linea quando può attaccare l’Iran e il mondo musulmano in generale.


Come allora invitammo alla calma (http://www.ilcassetto.it/notizia.php?tid=1203), allo stesso modo oggi crediamo che sia doveroso usare cautela. In gioco c’è una vita umana. Se lo dovrebbero ricordare tutti, non solo a Teheran.

venerdì 5 novembre 2010

Sakineh, allarmi e dubbi - Il Cassetto

Sakineh, allarmi e dubbi - Il Cassetto

Iran, Sacchetti: «Un errore rinvigorire la tensione senza un giusto motivo»

"Sakineh Mohammadi Ashtiani sta bene, non abbiamo notizie di una nuova data per l'esecuzione": lo ha detto all'Ansa la portavoce del Comitato internazionale contro le esecuzioni Mina Ahadi. Secondo la portavoce, inoltre, Javid Hutan Kian, avvocato di Sakineh, potrebbe essere rilasciato su cauzione sabato prossimo. Non si hanno invece notizie del figlio della donna. Secondo Antonello Sacchetti (audio), giornalista e autore del libro “Iran. La resa dei conti” edizioni Infinito, quello di due giorni fa è stato «un allarme che non trova riscontri oggettivi».

Oggi la portavoce Mina Ahadi dichiara: “Sakineh Mohammadi Ashtiani sta bene, non abbiamo notizie di una nuova data per l'esecuzione”. Cosa sta accadendo?«Sono rimasto sorpreso dall'allarme lanciato due giorni fa, non trovavo riscontri oggettivi rispetto a questa esecuzione imminente. Soprattutto perché qualche giorno fa da Teheran erano arrivati segnali opposti, a voler smentire la gravità della situazione. Non pare il momento di massimo pericolo per Sakineh. Quella della condanna a morte è una realtà che riguarda molti detenuti in tutto il mondo, non solo in Iran: va bene mantenere alto l'allarme, ma non capisco perché rinvigorire senza un giusto motivo la tensione».

Azar Nafisi, autrice di “Leggere Lolita a Teheran” sulle pagine de La Repubblica di ieri ha lanciato la proposta: impedire a Mahmoud Ahmadinejad la partecipazione ad incontri internazionali. Una proposta praticabile?«Secondo me non è accettabile e di fondo non è giusto. Se si vuole che l'Iran, paese membro delle Nazioni Unite, rispetti le convenzioni dell'Onu a cominciare da quelle dei diritti umani, non capisco perché impedirgli di intervenire nei luoghi deputati alle discussioni. Quando il presidente iraniano sostiene che su Sakineh si è fatto un gran polverone e non si è detto nulla sulle esecuzioni avvenute nello stesso momento negli Stati Uniti, non dice una cosa sbagliata».

Ad oggi a che punto è il dialogo tra Iran e Occidente?«Ci sono rapporti continui al di là della facciata. Qualche giorno fa il portavoce del Dipartimento di stato americano ha fatto gli auguri di buon compleanno ad Ahmadinejad usando twitter: sono dei segnali che nella diplomazia e nella geopolitica internazionale hanno un senso. E poi ieri gli Usa hanno inserito nella lista nera delle organizzazioni terroristiche Jundullah, una formazione armata del Belucistan artefice di attentati terroristici in Iran. Teheran ha accolto con favore questa decisione degli Usa».

giovedì 28 ottobre 2010

Le responsabilità comuni


Il viceministro degli Esteri iraniano Ali Ahani a un convegno organizzato a Roma dall’Ipalmo


Iran e Italia non solo possono ma devono collaborare per risolvere problemi e preoccupazioni comuni. È quanto emerso dalla conferenza 'Repubblica Islamica dell'Iran - Italia: responsabilità comuni e differenze nel mondo in evoluzione', organizzato il 27 ottobre a Roma dall'Ipalmo (Istituto per le relazioni tra l'Italia e i Paesi dell'Africa, America Latina, Medio ed Estremo Oriente). Hanno partecipato il presidente dell’Ipalmo Gianni De Michelis, il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi e il viceministro degli Esteri iraniano Ali Ahani.


De Michelis: “Peccato non aver raccolto intesa turco - brasiliana sul nucleare”

Che il tono e i contenuti del convegno non sarebbero stati banali, lo si è intuito già dall’introduzione del presidente dell’Ipalmo Gianni De Michelis che ha affrontato senza giri di parole la querelle nucleare, giudicando “un errore non aver sfruttato l'iniziativa turco-brasiliana”. Come si ricorderà, a maggio 2010 è stato sottoscritto un accordo tra Iran, Turchia e Brasile, che impegna Teheran a trasferire 1.200 chilogrammi di uranio non arricchito sul suolo turco per ricevere in cambio 120 chilogrammi di uranio arricchito al 20 per cento. La comunità internazionale non raccolse però quella proposta e da allora non si sono fatti passi in avanti.


L’iniziativa turco-brasiliana è stata, secondo De Michelis, “il primo segno del mondo 'post - Pittsburgh' (città Usa sede a settembre 2009 del vertice G-20). Un Paese occidentale come il Brasile e un membro della Nato come la Turchia sono oggi capaci di iniziative come questa. Dobbiamo adeguarci all’evoluzione del mondo e pensare a una governance multilaterale”.


“L’Unione europea – aggiunge- ha sbagliato a non partecipare alla conferenza sul disarmo nucleare svoltasi a Teheran in aprile. Io ci sono stato a titolo personale ed è stata molto utile. Oltretutto, affermava le stesse cose che contemporaneamente diceva Obama a Washington: nucleare civile per tutti, nucleare militare per nessuno”.


Stefania Craxi: “Perché le sanzioni”

Il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi ha spiegato il perché dell’appoggio italiano alle sanzioni all’Iran: “Le riteniamo utili per indurre il governo iraniano a un ripensamento delle proprie posizioni sul nucleare”, aggiungendo che “i segnali provenienti da Teheran non sono sempre di facile interpretazione. Vorrei interpretarli ottimisticamente come segnali di disponibilità al dialogo, ma quest'opportunità rischia col tempo di chiudersi e di lasciare il passo a scenari pericolosi, dai quali nessuno degli attori in gioco avrebbe nulla da guadagnare".
In riferimento al caso Sakineh, Stefania Craxi ha invitato gli organi di sicurezza iraniani a non fare "pressioni indebite sui legali e i familiari" di Sakineh. "La notizia del loro arresto finora né confermata né smentita - ha aggiunto la Craxi - non può non alimentare una legittima preoccupazione a riguardo". La Craxi ha poi auspicato che il dibattito nato in Iran "sull'abolizione dal codice penale di misure crudeli come la lapidazione" raggiunga presto risultati positivi.


Ahani: “No a dialogo con Talebani”

Stabilizzazione dell’Afghanistan, sicurezza energetica, lotta al narcotraffico e lotta al terrorismo. Su questi 4 grandi temi si può fondare una collaborazione duratura ed efficace tra Italia e Iran. Ahani propone una “lettura diversa della situazione politica internazionale”, che non può più essere governata da istituzioni che si basano su un passato lontano, ormai superato. Iran e Ue hanno molti problemi in comune e devono trovare soluzioni costruttive attraverso l’interazione”.


In merito all’Afghanistan, il viceministro iraniano sottolinea come l’instabilità sia dovuta alla mancata comprensione della realtà da parte degli Usa. “Dopo 9 anni di occupazione militare, la situazione è ancora più complicata. Aggiungere nuove truppe non farebbe che peggiorare le cose. La mancata ottemperanza degli impegni stabiliti dalla Conferenza di Bonn (novembre 2001, ndr) ha determinato il fallimento dell’approccio internazionale”. In questo senso, il ritiro delle truppe italiane entro il 2014 è giudicato “tardivo ma importante”.


Da Ahani un no deciso alle trattative con i Talebani: "Non si può essere fiduciosi che elementi estremisti riescano a portare stabilità e sicurezza in Afghanistan. Queste forze, per loro natura, se entrassero nel governo cercherebbero di prendere il controllo assoluto, escludendo gli altri gruppi". La comunità internazionale dovrebbe piuttosto puntare sul rafforzamento economico e istituzionale dell’Afghanistan.


L’Iran e il progetto Nabucco

Il viceministro iraniano ha ricordato che il suo Paese è il secondo al mondo per riserve di gas e il terzo per quelle di petrolio. “Il fabbisogno mondiale di greggio salirà dagli 11 miliardi di tonnellate di oggi a 14 miliardi entro il 2020. Se per colpa delle ‘ragnatele della politica’ l’Unione europea escluderà l’Iran dal progetto Nabucco (gasdotto per l’importazione di gas naturale dal Caspio, ndr), non farà altro che aumentare la propria dipendenza energetica”. Ahani non lo dice, ma è chiaro che dietro a queste manovre c’è la Russia, preoccupata di perdere una parte consistente del proprio potere energetico. Lo stesso ragionamento vale per l’oleodotto Pars, che dovrebbe portare petrolio dall’Iran all’Europa attraverso l’Iraq e la Siria: “Escluderci sarebbe un errore gravissimo, soprattutto per voi: noi il gas e il petrolio li vendiamo comunque “.


India e Cina sono infatti i nuovi grandi partner commerciali di Teheran, mentre l’interscambio con l’Italia perde i colpi. Per la preoccupazione delle imprese nostrane e del presidente della Camera di commercio italo iraniana, rappresentata in sala dal Segretario generale Pierluigi D’Agata.


Un’amicizia da custodire. Nonostante Berlusconi

Ahani – rispondendo a una domanda di un giornalista – ritiene che “gli antichi legami di amicizia tra Italia e Iran siano un tesoro da custodire gelosamente”, nonostante alcune dichiarazioni ostili del premier Berlusconi. “L'Iran è un partner sicuro e stabile. Non siamo una minaccia per nessuno, non vogliamo mettere paura a nessuno. Rispettiamo il Trattato di non proliferazione e le nostre attività sono monitorate dall'Agenzia internazionale dell'energia atomica. È ovvio che vogliamo produrre combustibile atomico: la Russia ce lo ha fornito solo per un anno. Possiamo rischiare che non ci vendano combustibile per il reattore di ricerca medica di Teheran? Avremmo bisogno di 20 centrali per il fabbisogno energetico del Paese: perché il combustibile deve essere monopolio di quattro potenze mondiali?”. Le sanzioni, dice Ahani, colpiscono il popolo iraniano, e certo non incoraggiano il dialogo. Ad ogni modo, l'Iran sta valutando dettagli e tempistica" della proposta avanzata dal capo della diplomazia dell'Ue Catherine Ashton, rappresentante del gruppo di mediazione con l'Iran'5+1' (ovvero Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina più laGermania), che ha proposto a Teheran di riprendere il dialogo sulla questione nucleare.


Una conferenza internazionale sul terrorismo

La tragedia dell’11 settembre è stata utilizzata in modo strumentale. Si parla di lotta al terrorismo – prosegue Ahani – ma l’Europa e l’Italia continuano a ospitare i Mojaheddin del Popolo, mascherati sotto nomi diversi. Non è una contraddizione con i principi dell’Ue?’”. L’Iran è una vittima del terrorismo e per questo intende promuovere una conferenza internazionale sul tema, da tenersi a Teheran nel 2011, aperta agli esperti italiani”.


Sul caso Sakineh, Ahani parla di una “sceneggiata anti iraniana creata da un lavoro di lobbying”. “Si tratta di un caso risalente a 6 anni fa. Il procedimento penale è in corso , e non vi e' nessuna sentenza definitiva". Secondo Ahani, la promozione dei diritti umani deve essere un impegno comune, ma deve esserci un rispetto reciproco e non ci devono essere né strumentalizzazioni né doppi standard”.

mercoledì 27 ottobre 2010

Vecchi nemici e nuove alleanze


C'è l'Iran dietro la formazione del nuovo governo iracheno guidato da Al Maliki? Qual è il ruolo di Teheran nell'attuale fase politica mediorientale? Ne parlano in studio Ahmad Rafat e Antonello Sacchetti.

Si discute inoltre del recente viaggio del presidente iraniano Mamhud Ahmadinejad in Libano e della partecipazione dell'Iran al vertice per l'Afghanistan.

Guarda il video della puntata:
http://www.ilcassetto.it/notizia.php?tid=1188

Gli Usa e l'influenza iraniana in Afghanistan


L'Iran ha cominciato ad immettere combustibile nel reattore della centrale nucleare di Bushehr. La costruzione dell’impianto è stata completata con l’aiuto della Russia: l'uranio arricchito per alimentare la centrale è stato fornito da Mosca in base a un accordo che prevede la restituzione del materiale una volta utilizzato, in modo da evitare eventuali impieghi per ordigni atomici. Intanto, Teheran ha ammesso pure di aver fornito finanziamenti all'Afghanistan, ma solo per la "ricostruzione" del Paese. Ieri il presidente Karzai aveva parlato degli aiuti da parte della Repubblica islamica e gli Stati Uniti si erano detti “preoccupati” per quelli che avevano definito “tentativi di Teheran di esercitare un'influenza negativa sull'Afghanistan”.


Per un commento, ascoltiamo Antonello Sacchetti, profondo conoscitore della realtà iraniana, intervistato da Giada Aquilino: R. - L’Iran ha tradizionalmente una secolare influenza sull’Afghanistan. La ha dal punto di vista culturale e non solo da quello politico. Basti pensare che la lingua ufficiale dell’Afghanistan è il dari, che è una variante del persiano. Sfido chiunque a trovare un Paese - tra quelli che sono intervenuti in Afghanistan - che non abbia dato soldi all’Afghanistan, in particolare anche ai governanti di quel Paese. Ci sono tanti motivi che legano poi questa situazione degli interessi nazionali dell’Iran: ci sono migliaia di chilometri di frontiere tra i due Paesi, ma tra i due Paesi c’è anche una continua - e mai interrotta - disputa riguardo alle responsabilità sul traffico di droga. Al di là di questo, però, diciamo che l’Iran esercita la sua naturale vocazione a potenza media regionale, a Paese cioè che comunque influisce sulle sorti degli Stati vicini.D. - A livello interno, l’Iran si sta concentrando sul reattore di Bushehr, dove avvierà la produzione di energia elettrica all’inizio del 2011. Bushehr che capitolo rappresenta del programma nucleare iraniano?R. - Direi che forse è il primo capitolo di una storia veramente infinita, perché Bushehr è il reattore che si cominciò a costruire addirittura nel 1975. Di fatto, i lavori in questo reattore avvengono sotto la supervisione dell’Aiea, in un momento in cui forse si sta saggiando il terreno in vista di una ripresa dei colloqui sul nucleare del Gruppo 5+1.


Ascolta il file audio:


mercoledì 29 settembre 2010

Focus Iran


All'interno del Festival Immagimondo - Serata dedicata all’Iran, situazione politica e vita quotidiana. Presentazione del libro “Iran. La resa dei conti”.Incontro con l’autore Antonello Sacchetti, giornalista e scrittore.Racconti di viaggio, incontro con viaggiatori.


IMMAGIMONDO, Festival di Viaggi, Luoghi e Culture si tiene da sabato 25 settembre a domenica 10 ottobre 2010 nella piazze della città di Lecco e in sedi prestigiose della Provincia.


Numerosi saranno gli eventi culturali - proiezioni di filmati di viaggio, mostre fotografiche, incontri con esperti Viaggiatori, presentazioni di libri, conferenze, laboratori di scrittura, fotografia e carnet de voyage – previsti nei giorni della manifestazione. Da visitare, i Tavoli dei Viaggiatori, cuore ed anima del Festival, e gli stand degli Espositori.


FOCUS IRAN

Venerdì 1 ottobre

ore 21
Sala Don Ticozzi Via Ongania, 4Lecco, Italy


http://www.immagimondo.it/

venerdì 10 settembre 2010

LA PRIMA PIETRA


Il caso Sakineh tra buone intenzioni e usi strumentali



È appena arrivata la notizia della sospensione della lapidazione di Sakineh Ashtiani. Il verdetto sarà sottoposto a revisione. È una buona notizia, anche se la vicenda non è ancora giunta a una conclusione. In questi giorni ci sono stati appelli, le dichiarazioni, firme di personaggi dello sport e dello spettacolo. E anche commenti spesso fuori luogo o fuori misura. Qualcuno ha suggerito improbabili ruoli di mediazione per Gheddafi, altri si sono sbilanciati in previsioni quanto meno azzardate sulla data dell’esecuzione.

La mobilitazione permanente ha l’indubbio merito di tenere costante l’attenzione sulla vicenda e – si spera – di salvare la vita della donna. È altrettanto innegabile, tuttavia, che per tutti noi questa sia una battaglia semplice. Chi mai, in Italia e in Europa, oggi non si schiererebbe contro la lapidazione? E forse proprio questo dato di fatto dovrebbe farci riflettere su alcuni aspetti della vicenda e, più in generale, su come le violazioni dei diritti umani siano “percepite”.


Cito alla lettera da Amnesty International:
La lapidazione resta in vigore, come sanzione penale, in diversi paesi o regioni di paesi, tra cui, oltre all'Iran, l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, la Nigeria, il Pakistan, il Sudan e lo Yemen. Nella provincia di Aceh, Indonesia, la pena della lapidazione è stata introdotta nel 2009.

Esecuzioni di sentenze giudiziarie alla lapidazione, negli ultimi anni, sono state riferite solo dall'Iran. Nonostante le autorità avessero annunciato una moratoria nel 2002, quattro anni dopo sono state lapidate almeno sei persone. Almeno otto donne e tre uomini si trovano attualmente nei bracci della morte del paese, in attesa della lapidazione
.


Questo per quanto riguarda la lapidazione. Pratica terribile, definita spesso “disumana” ma invece tanto terribile proprio perché umana. Inventata, escogitata cioè migliaia di anni fa dall'uomo per dare un valore particolare a quella forma di omicidio. Nell'antichità la lapidazione serviva a rendere tutta una collettività responsabile dell’esecuzione di un condannato. Le prime pietre venivano scagliate dai testimoni. A seguire, tutti gli altri. La Bibbia contiene molti esempi di condanne per lapidazione, per i reati più vari: dalla bestemmia all'idolatria, dall'omicidio all'adulterio.

E Gesù crea scandalo quando si oppone a questa pratica. Lasciamo che sia Giovanni a raccontarci i fatti:


In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.
Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?. Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo.
Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.
E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?. Ed essa rispose: Nessuno, Signore. E Gesù le disse: Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più
.
(Vangelo di Giovanni 8, 1-11)

E' una storia conosciuta e citata da miliardi di persone. Una storia che, come sappiamo, non ci parla soltanto di lapidazione. E qui sorge un sospetto.

Se Sakineh invece che per lapidazione venisse uccisa per impiccagione, la sua sorte sarebbe forse meno crudele? E su cosa vogliamo discutere: sul fatto che un'iniezione letale sia più “civile” di una lapidazione o di una decapitazione? Eppure queste altre forme di esecuzione sono applicate in modo costante. La prima negli Stati Uniti, la seconda in Arabia Saudita.

È impressionante, a questo proposito, come il regime saudita continui a godere di una pressoché totale impunità sia a livello diplomatico sia di opinione pubblica internazionale. Eppure le violazioni dei diritti umani continuano a essere gravissime. Ma quello di Riad è un regime amico dell'Occidente. Per non parlare degli Emirati Arabi Uniti o del Pakistan.

Il caso di Sakineh è divenuto in pochi giorni il simbolo delle violazioni dei diritti umani in Iran. Tanto che altri casi sono passati praticamente sotto silenzio. La scorsa settimana, a manifestare per Shiva Nazar Ahari, prigioniera politica anche lei a rischio di pena capitale, eravamo sì e no 20 persone.

Nella sua estrema drammaticità, il caso Sakineh sembra più “facile” da comprendere e condannare, rispetto alle vicende legate alle elezioni del 2009 e alla repressione del dissenso politico.

D’altra parte, né i leader dell’Onda Verde né i media riformisti stanno dimostrando grande attenzione per il caso Sakineh. A detta di alcuni iraniani, sarebbe stato lo stesso governo di Ahmadinejad a portare alla ribalta la vicenda, per intimidire la popolazione e allo stesso tempo “distrarre” l’opinione pubblica internazionale.

Chi mi conosce sa l'amore che mi lega all'Iran, alla sua cultura, alla sua gente. Come far capire, in giorni come questi, che l'Iran non è quel Paese primitivo che emerge dalle cronache? Come ricordare che la difesa dei diritti umani non dovrebbe mai essere usata strumentalmente?

Ricordo con orrore quando, nell’autunno del 2001, una senatrice italiana agitò in Aula un burqa sostenendo che la guerra che Bush stava per scatenare in Afghanistan era finalizzata a liberare le donne di quel Paese. Come siano andate davvero le cose, ora lo sappiamo tutti. E i venti che tirano negli ultimi mesi contro l’Iran non fanno presagire nulla di buono.

Forse l’unico modo per non arrendersi è provare a raccontare le cose come le conosciamo. Senza paura di essere in minoranza. È difficile, non impossibile.


martedì 4 maggio 2010

Presentazione al Salone di Torino


IRAN
La resa dei conti
(pagg. 112, € 11,00)

di ANTONELLO SACCHETTI
Prefazione di Daniela de Robert

Sabato 15 maggio, alle ore 15,30
Salone Internazionale del Libro di Torino
Lingotto fiere, via Nizza, 280
Sala Book



Con l’Autore interverranno Riccardo Noury e Farian Sabahi;

Dal cilindro di Ciro a oggi, un viaggio nei diritti umani. Il caso Iran

La crisi in Iran dell’estate 2009 non è solo elettorale. È la crisi di un regime, di un sistema di valori, dei suoi protagonisti.

Esattamente trent’anni dopo la rivoluzione e venti dopo la morte di Khomeini, le diverse forze politiche e sociali dell’Iran sono entrate in rotta di collisione. È perciò sbagliato ridurre la crisi post-elettorale a uno scontro tra potentati politici in cui i cittadini vengono usati come pedine. Le proteste di piazza sono fenomeni autentici e rappresentativi di una società che è cresciuta a una velocità maggiore rispetto alla politica.

Il risultato di questa combinazione di fattori è una “tempesta perfetta” inattesa e dirompente, che si è abbattuta sull’establishment politico iraniano e ha costretto il mondo intero a guardare questo Paese con occhi nuovi. Questo libro, scritto da uno dei principali esperti italiani, vuole raccontare cosa è accaduto e ipotizzare che cosa sarà l’Iran di domani.

Che cosa nascerà da questi mesi di manifestazioni e dura repressione è difficile dirlo. Ma dopo aver letto Iran. La resa dei conti forse avremo imparato anche noi a “non sottovalutare mai l’Iran”, come scrive Sacchetti, e a non escludere che si possa arrivare a una via iraniana alla democrazia (dalla prefazione di Daniela de Robert).


L’autore
Antonello Sacchetti, è nato a Roma il 14 giugno 1971. Giornalista, è fondatore e direttore responsabile della rivista telematica Il cassetto-L’informazione che rimane (http://www.ilcassetto.it). In passato ha lavorato per le sezioni italiane di Amnesty International e Save the Children Italia e come redattore in diverse testate. Ha scritto per Infinito edizioni i saggi I ragazzi di Teheran (2006) e Misteri persiani (2008).


Per informazioni: Infinito edizioni: 06 93162414
http://www.infinitoedizioni.it/info@infinitoedizioni.it
Maria Cecilia Castagna: 320/3524918
Serena Rossi: 340/9131468

venerdì 2 aprile 2010

Quando era l'Iran a tendere la mano


Nel 2003 Teheran propose agli Usa un grande accordo. Che però gli americani rifiutarono
Un grande accordo, un “great bargain”, per dirla all'inglese. Gli iraniani, in un accordo di “reciproco rispetto” si dichiarano pronti a interrompere il loro sostegno ad Hamas e alla Jihad islamica e di premere su questi gruppi affinché cessino gli attacchi ad Israele. Teheran si impegna inoltre a sostenere il disarmo di Hezbollah e a trasformarla in un partito politico. Per quanto riguarda la questione nucleare, l'Iran si dichiara pronto a ispezioni internazionali e si impegna a sottoscrivere il protocollo addizionale del Trattato di non proliferazione.

L'Iran offre inoltre piena collaborazione nella lotta ad Al Qaeda e nella stabilizzazione politica in Iraq. Cosa forse più sorprendente, Teheran si dice pronta ad accettare il piano di pace saudita per il Medio Oriente del marzo 2002, nel quale i Paesi arabi di dicevano pronti alla pace con Israele in cambio del ritiro dai Territori occupati, la creazione di uno Stato palestinese, un'equa divisione di Gerusalemme e una soluzione equilibrata del problema dei profughi.

In cambio l'Iran chiede la consegna dei Mojaheddin del Popolo (MKO, formazione terroristica iraniana di stanza in Iraq dai tempi di Saddam, e un accordo di lungo termine che ponga fine alla contrapposizione con Washington. I punti sono pochi ma fondamentali: fine di ogni sanzione, riconoscimento degli interessi iraniani in Iraq e sostegno alla richiesta di riparazioni nei confronti di Baghdad per la guerra 1980 – 88, riconoscimento del diritto dell'Iran al nucleare civile e alle tecnologie chimiche e biologiche, e, infine, riconoscimento della legittimità del diritto di sicurezza iraniano nella regione.

No, non è né un pesce d'aprile né un'ipotesi da fantapolitica. È storia. Ce la racconta Trita Parsi in un libro molto interessante, purtroppo non ancora edito in Italia. Si intitola “The treacherous alliance. The Secret Dealings of Israel, Iran and the United States”, che può essere tradotto come “L'alleanza infida. Gli accordi segreti tra Israele, Iran e Stati Uniti”.

Quella raccontato poco sopra è l'offerta clamorosa che nel maggio 2003 (poche settimane dopo l'ingresso degli americani a Baghdad) gli iraniani fecero pervenire agli Stati Uniti tramite l'Ambasciata svizzera a Teheran. Il documento era stato elaborato dall'allora presidente Mohammad Khatami, dal suo ministro degli Esteri Kamal Kharrazi, dall'ambasciatore presso l'Onu Zarif, dall'ambasciatore a Parigi Sadegh Karrazi (nipote del ministro degli Esteri) e – sopratutto - aveva il placet della Guida suprema Ali Khamenei.

A Washington il vicepresidente Cheney e il segretario di Stato Rumsfeld risposero: “Noi non parliamo col diavolo”. Non solo, rimproverarono gli svizzeri per aver consegnato la proposta e il canale di comunicazione si chiuse lì.

Perché? Perché allora gli Usa erano convinti di stravincere in Iraq, che avevano invaso e occupato facilmente e lessero la proposta iraniana come una dimostrazione di paura e di debolezza. Si diceva già che Teheran fosse la tappa successiva della crociata neocon, dopo Kabul e Baghdad.

È doveroso ricordare che proprio per la guerra in Afghanistan, ci fu un'effettiva collaborazione tra iraniani e americani. Non solo Teheran concesse il diritto di sorvolo all'aviazione Usa, ma partecipò in modo determinante alla Conferenza di Bonn sul futuro dell'Afghanistan e fu il Paese più generoso al vertice dei paesi donatori di Tokyo. Nonostante questo atteggiamento (frutto di una serie di vertici segreti ma ormai appurati tra americani e iraniani), Bush inserì Teheran nell'Asse del Male nel suo discorso sullo Stato dell'Unione nel gennaio 2002, inferendo un colpo pesantissimo sul futuro politico di Khatami. Allora Washington aveva una posizione molto ideologica e non riteneva conveniente un dialogo con Teheran.

Ora le cose sono cambiate ed è stato Obama a tendere una mano che per il momento Teheran non sembra disposta ad accogliere. Ma è anche vero che non si può capire il presente se non si guarda nemmeno all'altroieri.

giovedì 18 marzo 2010

Un ottantanove persiano

In Iran sta per cominciare un nuovo anno. Cosa è cambiato dall’ormai celebre messaggio di Obama ad oggi



Il 1388 sarà ricordato come uno degli anni (persiani) più intensi che l’Iran abbia mai vissuto. È passato giusto un anno dal video messaggio di Obama in occasione del No Ruz, il capodanno persiano. In meno di 12 mesi in Iran si è passati da momenti di euforia e speranza ad altri di angoscia e disperazione. Per la maggior parte dell’opinione pubblica mondiale, le manifestazioni del giugno 2009 sono state una rivelazione. L’Onda verde è diventato in poche settimane un fenomeno raccontato prima dalla tv e poi dai social network. L’Onda verde, in poche parole, è diventata il volto positivo di un Paese che dal 1979 non gode certo di buona stampa. Va però detto che spesso si è sostituito uno stereotipo con un altro. Se prima del giugno 2009 l’Iran era per molti occidentali un Paese arretrato e abitato soltanto ayatollah barbuti, adesso si tende a enfatizzare il ruolo dei giovani belli, istruiti e senza paura che lottano per la democrazia contro un potere feroce.

Da questa semplificazione nascono una serie di giudizi e previsioni erronei e grossolani. Se è indubbio che a nove mesi dalle elezioni presidenziali, la Repubblica islamica non è di certo uscita dalla sua crisi più grave, è altrettanto evidente che questo sistema politico non è affatto prossimo a quel crollo che in tanti consideravano imminente.

Partiamo da un dato basilare, spesso trascurato: l’Onda verde non nasce come movimento di protesta contro il sistema ma come campagna per Mousavi, candidato d’opposizione in una delle elezioni più vivaci e più partecipate della Repubblica islamica e della storia iraniana in assoluto. Non è un dettaglio, ma un dato sostanziale. Il 12 giugno l’85 per cento degli aventi diritto si mette in fila e va a votare. Cosa sarebbe accaduto se gli iraniani avessero accolto in massa il suggerimento del premio Nobel Shirin Ebadi (per fare un esempio) e avessero boicottato il voto? Probabilmente la rielezione di Ahmadinejad sarebbe avvenuta senza clamore, e in caso di brogli, nessuno o quasi avrebbe protestato. Già nel 2005 Mehdi Karroubi, candidato anche allora, aveva denunciato l’ingerenza dei pasdaran nelle operazioni di voto. Ma la palese disaffezione degli iraniani per la politica, dimostrata dall’alta astensione, non aveva portato a nulla. Stavolta invece la protesta è esplosa in modo inatteso e ha finito per trascinare l’intero sistema in una crisi senza precedenti.

Il confronto con la rivoluzione del 1979 è improponibile. Il regime dello scià, proprio perché espressione di una sola persona, era meno elastico e crollò rapidamente. La Repubblica islamica è un sistema molto più complesso e intrecciato con la realtà del Paese. Ne è un esempio la questione delle sanzioni: come colpire “soltanto” i pasdaran se nei loro “interessi” si contano 65 società che – dalla telefonia ai trasporti – hanno a che fare con la vita quotidiani degli iraniani?

Da 31 anni l’Iran ha adottato un sistema politico originale, complicato, non privo di elementi democratici ma incentrato sulla figura del rahbar, la Guida suprema. Come sostiene lo studioso francese Bernard Hourcard, l’Iran non è ancora una democrazia, ma è una repubblica. E non è cosa da poco, soprattutto in Medio Oriente, dove la maggior parte dei Paesi sono governati da autocrazie più o meno palesi.

Ed è su Khamenei, piuttosto che su Ahmadinejad, che dovrebbero concentrarsi le analisi politiche. Non solo perché la Guida – secondo la Costituzione iraniana - è più importante del presidente, ma anche perché è il comportamento di Khamenei ad aver inciso in maniera significativa sugli eventi degli ultimi mesi. Schierandosi in difesa dei brogli, la Guida ha perso qualsiasi credibilità e autorevolezza e ha spinto i manifestanti ad assumere posizioni sempre più anti-sistema. Superate le elezioni, le distanze tra presidente e Guida si sono fatte sempre più grandi. Non è azzardato affermare che al momento Ahmadinejad deve affrontare due avversari: l’opposizione riformista e un fronte conservatore che si riconosce ancora in Khamenei. Gli stessi pasdaran (dai quali Ahmadinejad proviene) sono di fatto una forza (economica, politica e militare) se non proprio indipendente, di certo autonoma.

Queste differenze si sono viste soprattutto in politica estera. Ad ottobre Ahmadinejad l’accordo sul nucleare l’avrebbe firmato, per incassare un successo e riaccreditarsi come leader a livello internazionale. Ma sono stati Guida suprema e pasdaran a fermare il dialogo. Non c’è tanto una ritrosia dettata da motivazioni ideologiche: i politici iraniani sanno essere anche molto pragmatici, all’occorrenza. Ricordiamo che durante la guerra con l’Iraq, lo stesso Khomeini accettò di buon grado armi israeliane sotto banco pur di fronteggiare Saddam. Così oggi Khamenei e pasdaran non vogliono un’apertura internazionale soprattutto perché la tensione è un ottimo diversivo rispetto ai problemi interni e un elemento che ricompatta gli iraniani, sempre molto nazionalisti. Le stessa sanzioni Usa ci sono di fatto da 30 anni e hanno sempre rafforzato i conservatori, non certo l’opposizione. Cominciano a capirlo anche a Washington: l’8 marzo il vice segretario al Tesoro Usa Neil Wolin ha dichiarato che “compagnie come Microsoft, Google e Yahoo potranno operare nei paesi nei confronti dei quali gli Usa hanno politiche di embargo”. Meglio tardi che mai, visto che l’embargo sul web finisce col danneggiare proprio chi dall’Iran cerca di far uscire notizie.

Quando Hillary Clinton ha dichiarato che l’Iran rischia di diventar una dittatura militare, denuncia una realtà politica iniziata non ora, ma con la prima elezione di Ahmadinejad nel 2005. Da allora la presenza di militari ed ex militari nelle istituzioni è sempre più massiccia. Ma le “preoccupazioni” della Clinton non devono trarre in inganno: questa amministrazione – come tutte le precedenti – pensa agli interessi e agli elettori americani. Se Washington avesse tanto a cuore le sorti della democrazia in Medio Oriente, forse dovrebbe cominciare a guardare in casa dei suoi alleati, dall’Egitto all’Arabia Saudita, dalla Giordania ai Paesi arabi del Golfo Persico.

Sulla questione nucleare, dopo una breve fase interlocutoria, Russia e Cina sembrano confermare un sostanziale appoggio a Teheran, frenando su nuove sanzioni. D’altra parte, gli interessi economici in ballo sono enormi. L' Iran è il terzo fornitore di petrolio della Cina, dopo Arabia Saudita e Angola, e nei primi 8 mesi del 2009 l' export iraniano in Cina è stato di oltre 2 miliardi di dollari, con una crescita del 26,4% rispetto al 2008.

In questo quadro generale non ha molto senso parlare di un cambio radicale di regime, magari indotto dall’esterno. È anzi auspicabile che i vari Mousavi, Karroubi e Khatami continuino a sostenere l’Onda verde e che anzi ne indirizzino le azioni alla ricerca di uno sbocco politico. Perché gli ultimi sviluppi (il sostanziale fallimento delle dimostrazioni dell’11 febbraio) dimostrano come questo movimento rischia di sprecare energie e tempo se non individua obiettivi concreti.

Mousavi ha recentemente dichiarato che la Costituzione iraniana non è una “rivelazione immutabile”, suggerendo di apportare alcune modifiche sulla base “delle richieste del popolo e della nostra esperienza nazionale”. Troppo poco? Un amico rifugiato politico, scappato dall’Iran nell’estate 2009 continua a dire: “Noi non vogliamo una rivoluzione”. Questo potrà non piacere a molti, ma l’alternativa qual è?

Il vero banco di prova sarà nei prossimi mesi la situazione economica. Il governo Ahmadinejad ha infatti varato una drastica riforma del sistema di sussidi che rischia di provocare un sensibile peggioramento degli standard di vita dei ceti popolari. All’interno dell’Onda verde potrebbero trovare spazio le istanze di un movimento sindacale vittima – specie negli ultimi mesi - di una repressione brutale.

L’ayatollah Khomeini, nel suo testamento politico, ammonì i propri successori: “Se perderete il sostegno dei diseredati, farete la fine dei Pahlevi”. Probabilmente l’establishment ha ben chiaro questo rischio, ma trovare una via d’uscita non è semplice. Se anche dalla tempesta si dovesse passare a un periodo di bonaccia, il problema sarebbe soltanto riandato. Chi prenderà il posto di Khamenei? Sarà ancora proponibile un’unica Guida?

Nelle ultime settimane l’Onda verde ha proposto un referendum come via d’uscita dalla crisi. Non si capisce però su cosa sarebbero chiamati a votare gli iraniani. Sul risultato delle presidenziali di un anno fa, come suggerisce Khatami? Oppure sui poteri del Consiglio dei Guardiani, come invece vorrebbe Karroubi? Questa vaghezza di intenti riassume perfettamente i limiti di un movimento. Se l’Onda verde vuole continuare a essere protagonista anche nel 1389, deve cercare di trovare al più presto una sponda politica.

venerdì 5 marzo 2010

Seminario L’Onda Verde iraniana

Giovedì 11 marzo alle ore 18:00 a Roma, presso la sede dell’Associazione Culturale di Studi Umanistici “Leussô” in viale Regina Margherita 1, in collaborazione con il blog “Amici dell’Iran” avrà luogo il seminario L’Onda Verde iraniana.


All’incontro, moderato da Francesco Anghelone, interverranno:
Antonello Sacchetti - giornalista pubblicista e scrittore, fondatore e direttore della rivista «Il Cassetto»;
Reza Ganji - giornalista iraniano, collaboratore di diversi media di area riformista.
Al dibattito prenderà parte in videoconferenza Mahmood Amiry-Moghaddam, portavoce del network “Iran Human Rights” che si batte contro la pena di morte in Iran, soprattutto quella inflitta ai minori. Amiry-Moghaddam presenterà il “Rapporto sulla pena di morte in Iran - 2009” pubblicato in questi giorni.


L’incontro si propone di presentare il movimento dell’Onda Verde e approfondire l’analisi della situazione che si è determinata in Iran a seguito delle elezioni del giugno 2009. Nel paese infatti si assiste, per la prima volta dal 1979, a un movimento di protesta che rischia di minare alle fondamenta la stessa Repubblica islamica. Un movimento che ad oggi non è mai ricorso alla violenza e che tuttavia continua con forza a contestare la rielezione di Ahmadinejad e l’atteggiamento assunto in merito dalla guida suprema, l’ayatollah Khamenei.

lunedì 15 febbraio 2010

YouDem, home page del 15 febbraio 2010

L'Iran è il tema della puntata odierna dopo le proteste seguite alla "svolta di Gerusalemme", l'anniversario della rivoluzione khomeinista e le parole di Ahmadinejad sull'uranio arricchito. In studio, con Alessandra Dell'Olmo, Ahmad Rafat Antonello Sacchetti e Francesco Tempestini.


mercoledì 10 febbraio 2010

Formello, Teheran


La manifestazione davanti all’ambasciata italiana diventa un “assalto” per il governo e i media di casa nostra. A chi giova l’escalation


Ha ragione Bernardo Valli (Repubblica, 10 febbraio 2010) quando afferma che l’Iran è diventato “un incubo, roba da psicanalisti”. La manifestazione di fronte all’ambasciata italiana di Teheran cosa è stato davvero? “Una messa in scena da teatro di provincia”, come scrive lo stesso Valli? I giornali italiani di oggi (salvo pochissime eccezioni) parlano di “assalto”, “clima incandescente” e così via.


Lo stesso ambasciatore ha poi descritto l’accaduto come “venti minuti di grida e tensione”. Le stesse immagini trasmesse dalla tv di Stato iraniana fanno pensare alla “solita” messa in scena: basiji in abiti civili che lanciano qualche sasso, scandiscono slogan e vengono poi fermati dalla forze dell’ordine. Tutto come da programma. È accaduto decine di volte, negli ultimi anni. Soltanto che stavolta è accaduto davanti alla nostra ambasciata e allora sembra di essere alla vigilia della terza guerra mondiale.
Coincidenze surreali: mentre tutte le agenzie battevano la “notizia” dell’assalto all’ambasciata di Teheran, un migliaio di ultrà a Formello metteva a ferro e fuoco la sede degli allenamenti della Lazio. Bombe carta, sprangate e intervento della polizia…
Dopo le dichiarazioni di Berlusconi a Gerusalemme (aveva di fatto paragonato Ahmadinejad a Hitler e promesso sanzioni dure per la questione nucleare) l’ambasciatore italiano era già stato convocato dal ministro degli Esteri iraniano e aveva ricevuto proteste ufficiali. D’altra parte, sarebbe stato strano se questo non fosse accaduto. E’ la prassi, in diplomazia e anche in politica.
Alzare il livello di scontro con l’esterno è funzionale alla repressione del dissenso interno. È più facile accusare i dissidenti di complicità col “nemico esterno”. E, in più, si distoglie l’attenzione su quanto accade nel Paese. Per questo le dichiarazioni di Berlusconi in Israele sono dannose per quell’opposizione interna che lui dichiara di voler sostenere. È una tattica consolidata e quanto mai utile alla vigilia di quella che si preannuncia una giornata campale. L’11 febbraio (22 bahman per il calendario persiano) si commemorano i 31 anni della rivoluzione e si preannunciano manifestazioni antigovernative di rilievo.


La nuova posizione italiana rompe con una tradizione decennale. Il nostro Paese è un partner economico privilegiato per Teheran da quasi 50 anni ed ha svolto in più riprese un lavoro di mediazione forse poco appariscente ma sicuramente efficace. Non dimentichiamo che nel 2004 fu l’allora presidente Khatami a chiedere che l’Italia entrasse nel gruppo 5 + 1 per i negoziati sul nucleare. Il governo Berlusconi non accettò l’invito e oggi sembra spingersi oltre. L’allinearsi alle posizioni israeliane è anche il segno di come stia mutando la linea di Obama. La “mano tesa” sembra ormai un ricordo si attendono ora sanzioni durissime. Certo, la politica iraniana è stata sfuggente e irritante, ma, per una corretta definizione degli eventi, ci sono alcuni punti che non dovremmo mai dimenticare.
L’arricchimento dell’uranio al 20 per cento, annunciato da Ahmadinejad pochi giorni fa, sarà anche una provocazione, ma non è sufficiente per produrre armi atomiche (l’arricchimento deve essere almeno dell’80 per cento) e infatti è consentita dal Trattato di non proliferazione. Tutta la diatriba nucleare, ricordiamolo sempre, si basa non su prove, ma sulla mancanza di prove. Interpretate come segno di colpevolezza. Sembra assurdo, ma è così, basta rileggersi la cronistoria di questa vicenda. Non c’è nessuna “smoking gun”.


Il secondo errore macroscopico è continuare a ritenere Ahmadinejad e Khamenei sulle stesse posizioni, quando invece rappresentano ormai due blocchi politici distinti. E anche i pasdaran sono di fatto una forza (economica, politica e militare) se non proprio indipendente, di certo autonoma. Il presidente iraniano l’accordo sul nucleare l’avrebbe firmato di corsa a ottobre, ma sono proprio questi due altri blocchi (Guida suprema e pasdaran) a fermare il dialogo. Perché Ahmadinejad è sotto il loro ricatto, soprattutto dopo le elezioni truccate.


Ma mentre tutto il mondo parla del nucleare, in Iran si parla di politica ed economia. Il governo Ahmadinejad ha tagliato le sovvenzioni sui prezzi e nei prossimi mesi si preannunciano chiusure di fabbriche e perdite di posti. Saranno mesi molto duri. Sarà l’occasione per un cambiamento radicale della situazione interna? Vediamo intanto cosa accadrà domani.

martedì 9 febbraio 2010

Un documentario, un dibattito e un film per l’Iran


A trentuno anni dalla rivoluzione Asiaticafilmmediale e Associazione Culturale Italo Iraniana “Alefba” promuovono un incontro per ricordare le ragioni e riflettere sull’attualità della rivoluzione islamica in Iran. Due proiezioni e un dibattito, per avvicinare la realtà di un grande Paese nel quale oggi fronti contrapposti si misurano sul ruolo della religione nella gestione della cosa pubblica. In questi anni, la società iraniana è cambiata fino a produrre profonde divisioni. Le istanze che hanno sostenuto la rivoluzione sono vive? Quali sono le attese di una società che è per il settanta per cento composta da giovani al di sotto dei trent’anni? Cosa sta accadendo?


Alla Casa del Cinema mercoledi 10 Febbraio sarà proiettato il documentario Rough Cut di Firouzeh Khosrovani, opera pluripremiata nei festival internazionali, presentata in anteprima internazionale da Asiaticafilmmediale, dove ha ricevuto una menzione speciale. Seguirà un incontro al quale interverranno Marina Forti (giornalista), Liisa Liimatainen (giornalista), Alberto Negri (giornalista), Antonello Sacchetti (scrittore), Bijan Zarmandili (scrittore).


Al termine, il film Keshtzarhaye Sepid (Le bianche distese) di Mohammad Rasoulof, uno dei film più significativi dell’ultima stagione cinematografica iraniana, già proposto a Roma nell’ambito della decima edizione di Asiaticafilmmediale. La comunità iraniana a Roma sarà presente numerosa. Proiezioni in lingua originale, con sottotitoli in italiano e inglese. Rough Cut narra la trasformazione dei manichini femminili nelle vetrine dei negozi d’abbigliamento di Teheran, metafora del corpo velato e mutilato, ridefinito secondo i dettami della legge. Negli anni ottanta i manichini scomparvero dalle vetrine per ricomparire dopo la guerra Iran-Iraq, modificati in modo da minimizzare e mortificare il corpo femminile, un monito per le donne e la società. (Regia e sceneggiatura: Firouzeh Khosrovani; Fotografia: Abbas Kowsari; Montaggio: Bijan Mirbagheri, Kayvan Jahanshahi; Musica: Farhad Asadian, Kayvan Jahanshahi; Produzione: Firouzeh Khosrovani; Anno: 2007; Durata: 23; Formato: DvCam).


Firouzeh Khosrovani. Nata a Teheran, si laurea in Belle Arti a Brera e, di nuovo in Iran, nel 2004 consegue un master di giornalismo. Debutta come documentarista nello stesso anno con “Centro d’Assistenza Psico-sociale”, girato a Bam città terremotata. Nel 2005 scrive il soggetto del documentario ”Madre dei Martiri” sugli esiti della guerra Iran-Iraq. Nel 2007 realizza “Rough Cut”. Collabora per le testate italiane: Limes, Il Manifesto, D della Repubblica. E’ attualmente impegnata nella realizzazione di un nuovo documentario.
The Keshtzarhaye Sepid (White Meadows/ Le bianche distese) un viaggio ipnotico e duro, caratterizzato da metafore e motivi enigmatici, condotto attraverso lo spaventoso orizzonte delle candide e aride distese di sale. Al di là di ogni genere, la storia come fosse favola, segue l’odissea di un uomo che parte con la sua barca per raccogliere le lacrime degli abitanti sparsi in un arcipelago di sterili e inospitali isole, in un oceano senza nome. (Regia: Mohammad Rasoulof; Fotografia: Ebrahim Ghafouri; Montaggio: Jafar Panahi; Suono: Amir Hosein Ghasemi; Produzione: Gholamreza Armadi; Anno: 2009; Durata: 92'; Formato: 35mm).


Mohammad Rasoulof. Nato nel 1973 a Shiraz, città di 850.000 abitanti dell’Iran sud occidentale, si laurea in sociologia presso la prestigiosa Shiraz University e studia poi montaggio alla Sooreh University di Teheran. “The Twilight”, suo primo film a soggetto, ha ricevuto premi in tutto il mondo.


Ore 19.30 Casa del Cinema, Largo Marcello Mastroianni n. 1, Roma Ingresso libero sino ad esaurimento dei posti


Immagini e altre informazioni su
www.studiovezzoli.com e www.asiaticafilmmediale.it Ufficio Stampa: Studio Vezzoli - tel.026552781 fax.0289282601 - info@studiovezzoli.com

mercoledì 3 febbraio 2010

Verso l'11 febbraio

Qualcuno ha detto una volta che la politica è il terreno delle cose possibili. Sarebbe bene opportuno tenerlo sempre presente quando si scrive o si parla del destino dell’Iran. Troppo spesso si confondono le previsioni con le speranze e si finisce col dare una rappresentazione erronea dei fatti.

L’Iran si appresta a celebrare i 31 anni dalla rivoluzione in un’atmosfera molto diversa rispetto ad appena un anno fa. Se il trentennale della caduta dello scià era stato celebrato in un clima di sostanziale indifferenza da parte della maggioranza della popolazione, quest’anno si preannuncia un febbraio di grande tensione.

Mir Hossein Mousavi, in un’intervista sul sito Kalameh, ha dichiarato che la Rivoluzione del 1979 non si è pienamente compiuta, dato che “le radici della tirannia e della dittatura esistono ancora”. Il leader riformista ha aggiunto che “oggi esistono (in Iran) sia elementi che producono dittatura sia elementi che combattono contro un ritorno alla dittatura. Censurare i media, riempire le prigioni e uccidere brutalmente nelle strade le persone che rivendicano pacificamente i propri diritti, sono elementi che indicano come le radici della dittatura e della tirannia sopravvivono dall’era della monarchia. Non credo che la rivoluzione abbia raggiunto i propri obiettivi”.

Queste parole fanno parte di un discorso molto lungo, articolato in 14 punti. Mousavi non si limita a una denuncia, ma prova ancora una volta a tracciare un percorso per uscire dalla crisi politica apertasi con le elezioni del 12 giugno. L’ex premier dichiara che la Costituzione iraniana non è una “rivelazione immutabile”, visto che alcune ne sono state cambiate alcune parti nel 1989. Mousavi suggerisce di apportare alcune modifiche sulla base “delle richieste del popolo e della nostra esperienza nazionale”.

Il leader riformista ha poi denunciato ancora una volta le restrizioni delle libertà d’opinione, sottolineando cone “nel movimento verde ogni persona è un media”.

È un’uscita pubblica significativa, in vista delle annunciate manifestazioni dell’11 febbraio (22 bahman secondo il calendario persiano), giorno in cui si commemora la vittoria della rivoluzione. È importante ricordare che l’11 febbraio 1979 fu il giorno in cui l’esercito iraniano proclamò la propria neutralità, quasi un mese dopo la fuga dello scià (16 gennaio). Oggi è molto difficile ipotizzare una situazione simile, perché tra potere politico e militari (basji e pasdaran) il legame è molto più stretto e solido rispetto al periodo monarchico.

Se la politica interna sembra evolversi ancora piuttosto lentamente, lo scenario internazionale sembra subire un’accelerazione drastica. In particolare, sembra cambiare la posizione italiana. In visita a Gerusalemme, Silvio Berlusconi ha auspicato nuove dure sanzioni contro l’Iran, colpevole, a suo avviso, di mirare alla bomba nucleare. Berlusconi ha anche definito il governo di Teheran “poco popolare” e ha promesso sostegno all’opposizione iraniana.

Quasi in contemporanea, il vicepresidente Usa Biden ha detto che ''il governo iraniano ha perduto la sua credibilità morale nel paese e nella regione facendo ricorso ai metodi violenti per reprimere il dissenso. Ci stiamo muovendo insieme al resto del mondo, compresa la Russia ed altri, per far scattare nuove sanzioni contro Teheran. Ci stiamo muovendo nella direzione giusta in modo calibrato. Il governo di Teheran sta piantando i semi della sua distruzione restando aggrappato a tutti i costi al potere e reprimendo il dissenso”.

Tutto questo nel giorno in cui il presidente iraniano Ahmadinejad – sempre più isolato all’interno – rilancia alla tv di Stato: ''Non abbiamo problemi a mandare all'estero il nostro uranio arricchito''.

Questo nuovo atteggiamento da parte della comunità internazionale può condizionare la situazione interna? Molto probabilmente sì, ma difficilmente ne beneficeranno l’Onda verde e il fronte riformista. Quando l’Iran torna a essere al centro delle critiche, sono i “falchi” ad avere gioco facile contro il “nemico esterno”.

Il vero banco di prova per la Repubblica islamica sarà nei prossimi mesi la situazione economica. Il governo Ahmadinejad ha infatti varato una drastica riforma del sistema di sussidi che rischia di provocare un sensibile peggioramento degli standard di vita dei ceti popolari.

L’ayatollah Khomeini, nel suo testamento politico, ammonì i propri successori: “Se perderete il sostegno dei diseredati, farete la fine dei Pahlevi”.

venerdì 8 gennaio 2010

Tensione e morti in Iran. Antonello Sacchetti ai microfoni di Ecoradio

28 dicembre 2009 - In occasione degli ultimi scontri avvenuti in Iran che hanno causato la morte di decine di persone Alfredo Angelici ha intervistato l'iranologo Antonello Sacchetti