lunedì 15 febbraio 2010

YouDem, home page del 15 febbraio 2010

L'Iran è il tema della puntata odierna dopo le proteste seguite alla "svolta di Gerusalemme", l'anniversario della rivoluzione khomeinista e le parole di Ahmadinejad sull'uranio arricchito. In studio, con Alessandra Dell'Olmo, Ahmad Rafat Antonello Sacchetti e Francesco Tempestini.


mercoledì 10 febbraio 2010

Formello, Teheran


La manifestazione davanti all’ambasciata italiana diventa un “assalto” per il governo e i media di casa nostra. A chi giova l’escalation


Ha ragione Bernardo Valli (Repubblica, 10 febbraio 2010) quando afferma che l’Iran è diventato “un incubo, roba da psicanalisti”. La manifestazione di fronte all’ambasciata italiana di Teheran cosa è stato davvero? “Una messa in scena da teatro di provincia”, come scrive lo stesso Valli? I giornali italiani di oggi (salvo pochissime eccezioni) parlano di “assalto”, “clima incandescente” e così via.


Lo stesso ambasciatore ha poi descritto l’accaduto come “venti minuti di grida e tensione”. Le stesse immagini trasmesse dalla tv di Stato iraniana fanno pensare alla “solita” messa in scena: basiji in abiti civili che lanciano qualche sasso, scandiscono slogan e vengono poi fermati dalla forze dell’ordine. Tutto come da programma. È accaduto decine di volte, negli ultimi anni. Soltanto che stavolta è accaduto davanti alla nostra ambasciata e allora sembra di essere alla vigilia della terza guerra mondiale.
Coincidenze surreali: mentre tutte le agenzie battevano la “notizia” dell’assalto all’ambasciata di Teheran, un migliaio di ultrà a Formello metteva a ferro e fuoco la sede degli allenamenti della Lazio. Bombe carta, sprangate e intervento della polizia…
Dopo le dichiarazioni di Berlusconi a Gerusalemme (aveva di fatto paragonato Ahmadinejad a Hitler e promesso sanzioni dure per la questione nucleare) l’ambasciatore italiano era già stato convocato dal ministro degli Esteri iraniano e aveva ricevuto proteste ufficiali. D’altra parte, sarebbe stato strano se questo non fosse accaduto. E’ la prassi, in diplomazia e anche in politica.
Alzare il livello di scontro con l’esterno è funzionale alla repressione del dissenso interno. È più facile accusare i dissidenti di complicità col “nemico esterno”. E, in più, si distoglie l’attenzione su quanto accade nel Paese. Per questo le dichiarazioni di Berlusconi in Israele sono dannose per quell’opposizione interna che lui dichiara di voler sostenere. È una tattica consolidata e quanto mai utile alla vigilia di quella che si preannuncia una giornata campale. L’11 febbraio (22 bahman per il calendario persiano) si commemorano i 31 anni della rivoluzione e si preannunciano manifestazioni antigovernative di rilievo.


La nuova posizione italiana rompe con una tradizione decennale. Il nostro Paese è un partner economico privilegiato per Teheran da quasi 50 anni ed ha svolto in più riprese un lavoro di mediazione forse poco appariscente ma sicuramente efficace. Non dimentichiamo che nel 2004 fu l’allora presidente Khatami a chiedere che l’Italia entrasse nel gruppo 5 + 1 per i negoziati sul nucleare. Il governo Berlusconi non accettò l’invito e oggi sembra spingersi oltre. L’allinearsi alle posizioni israeliane è anche il segno di come stia mutando la linea di Obama. La “mano tesa” sembra ormai un ricordo si attendono ora sanzioni durissime. Certo, la politica iraniana è stata sfuggente e irritante, ma, per una corretta definizione degli eventi, ci sono alcuni punti che non dovremmo mai dimenticare.
L’arricchimento dell’uranio al 20 per cento, annunciato da Ahmadinejad pochi giorni fa, sarà anche una provocazione, ma non è sufficiente per produrre armi atomiche (l’arricchimento deve essere almeno dell’80 per cento) e infatti è consentita dal Trattato di non proliferazione. Tutta la diatriba nucleare, ricordiamolo sempre, si basa non su prove, ma sulla mancanza di prove. Interpretate come segno di colpevolezza. Sembra assurdo, ma è così, basta rileggersi la cronistoria di questa vicenda. Non c’è nessuna “smoking gun”.


Il secondo errore macroscopico è continuare a ritenere Ahmadinejad e Khamenei sulle stesse posizioni, quando invece rappresentano ormai due blocchi politici distinti. E anche i pasdaran sono di fatto una forza (economica, politica e militare) se non proprio indipendente, di certo autonoma. Il presidente iraniano l’accordo sul nucleare l’avrebbe firmato di corsa a ottobre, ma sono proprio questi due altri blocchi (Guida suprema e pasdaran) a fermare il dialogo. Perché Ahmadinejad è sotto il loro ricatto, soprattutto dopo le elezioni truccate.


Ma mentre tutto il mondo parla del nucleare, in Iran si parla di politica ed economia. Il governo Ahmadinejad ha tagliato le sovvenzioni sui prezzi e nei prossimi mesi si preannunciano chiusure di fabbriche e perdite di posti. Saranno mesi molto duri. Sarà l’occasione per un cambiamento radicale della situazione interna? Vediamo intanto cosa accadrà domani.

martedì 9 febbraio 2010

Un documentario, un dibattito e un film per l’Iran


A trentuno anni dalla rivoluzione Asiaticafilmmediale e Associazione Culturale Italo Iraniana “Alefba” promuovono un incontro per ricordare le ragioni e riflettere sull’attualità della rivoluzione islamica in Iran. Due proiezioni e un dibattito, per avvicinare la realtà di un grande Paese nel quale oggi fronti contrapposti si misurano sul ruolo della religione nella gestione della cosa pubblica. In questi anni, la società iraniana è cambiata fino a produrre profonde divisioni. Le istanze che hanno sostenuto la rivoluzione sono vive? Quali sono le attese di una società che è per il settanta per cento composta da giovani al di sotto dei trent’anni? Cosa sta accadendo?


Alla Casa del Cinema mercoledi 10 Febbraio sarà proiettato il documentario Rough Cut di Firouzeh Khosrovani, opera pluripremiata nei festival internazionali, presentata in anteprima internazionale da Asiaticafilmmediale, dove ha ricevuto una menzione speciale. Seguirà un incontro al quale interverranno Marina Forti (giornalista), Liisa Liimatainen (giornalista), Alberto Negri (giornalista), Antonello Sacchetti (scrittore), Bijan Zarmandili (scrittore).


Al termine, il film Keshtzarhaye Sepid (Le bianche distese) di Mohammad Rasoulof, uno dei film più significativi dell’ultima stagione cinematografica iraniana, già proposto a Roma nell’ambito della decima edizione di Asiaticafilmmediale. La comunità iraniana a Roma sarà presente numerosa. Proiezioni in lingua originale, con sottotitoli in italiano e inglese. Rough Cut narra la trasformazione dei manichini femminili nelle vetrine dei negozi d’abbigliamento di Teheran, metafora del corpo velato e mutilato, ridefinito secondo i dettami della legge. Negli anni ottanta i manichini scomparvero dalle vetrine per ricomparire dopo la guerra Iran-Iraq, modificati in modo da minimizzare e mortificare il corpo femminile, un monito per le donne e la società. (Regia e sceneggiatura: Firouzeh Khosrovani; Fotografia: Abbas Kowsari; Montaggio: Bijan Mirbagheri, Kayvan Jahanshahi; Musica: Farhad Asadian, Kayvan Jahanshahi; Produzione: Firouzeh Khosrovani; Anno: 2007; Durata: 23; Formato: DvCam).


Firouzeh Khosrovani. Nata a Teheran, si laurea in Belle Arti a Brera e, di nuovo in Iran, nel 2004 consegue un master di giornalismo. Debutta come documentarista nello stesso anno con “Centro d’Assistenza Psico-sociale”, girato a Bam città terremotata. Nel 2005 scrive il soggetto del documentario ”Madre dei Martiri” sugli esiti della guerra Iran-Iraq. Nel 2007 realizza “Rough Cut”. Collabora per le testate italiane: Limes, Il Manifesto, D della Repubblica. E’ attualmente impegnata nella realizzazione di un nuovo documentario.
The Keshtzarhaye Sepid (White Meadows/ Le bianche distese) un viaggio ipnotico e duro, caratterizzato da metafore e motivi enigmatici, condotto attraverso lo spaventoso orizzonte delle candide e aride distese di sale. Al di là di ogni genere, la storia come fosse favola, segue l’odissea di un uomo che parte con la sua barca per raccogliere le lacrime degli abitanti sparsi in un arcipelago di sterili e inospitali isole, in un oceano senza nome. (Regia: Mohammad Rasoulof; Fotografia: Ebrahim Ghafouri; Montaggio: Jafar Panahi; Suono: Amir Hosein Ghasemi; Produzione: Gholamreza Armadi; Anno: 2009; Durata: 92'; Formato: 35mm).


Mohammad Rasoulof. Nato nel 1973 a Shiraz, città di 850.000 abitanti dell’Iran sud occidentale, si laurea in sociologia presso la prestigiosa Shiraz University e studia poi montaggio alla Sooreh University di Teheran. “The Twilight”, suo primo film a soggetto, ha ricevuto premi in tutto il mondo.


Ore 19.30 Casa del Cinema, Largo Marcello Mastroianni n. 1, Roma Ingresso libero sino ad esaurimento dei posti


Immagini e altre informazioni su
www.studiovezzoli.com e www.asiaticafilmmediale.it Ufficio Stampa: Studio Vezzoli - tel.026552781 fax.0289282601 - info@studiovezzoli.com

mercoledì 3 febbraio 2010

Verso l'11 febbraio

Qualcuno ha detto una volta che la politica è il terreno delle cose possibili. Sarebbe bene opportuno tenerlo sempre presente quando si scrive o si parla del destino dell’Iran. Troppo spesso si confondono le previsioni con le speranze e si finisce col dare una rappresentazione erronea dei fatti.

L’Iran si appresta a celebrare i 31 anni dalla rivoluzione in un’atmosfera molto diversa rispetto ad appena un anno fa. Se il trentennale della caduta dello scià era stato celebrato in un clima di sostanziale indifferenza da parte della maggioranza della popolazione, quest’anno si preannuncia un febbraio di grande tensione.

Mir Hossein Mousavi, in un’intervista sul sito Kalameh, ha dichiarato che la Rivoluzione del 1979 non si è pienamente compiuta, dato che “le radici della tirannia e della dittatura esistono ancora”. Il leader riformista ha aggiunto che “oggi esistono (in Iran) sia elementi che producono dittatura sia elementi che combattono contro un ritorno alla dittatura. Censurare i media, riempire le prigioni e uccidere brutalmente nelle strade le persone che rivendicano pacificamente i propri diritti, sono elementi che indicano come le radici della dittatura e della tirannia sopravvivono dall’era della monarchia. Non credo che la rivoluzione abbia raggiunto i propri obiettivi”.

Queste parole fanno parte di un discorso molto lungo, articolato in 14 punti. Mousavi non si limita a una denuncia, ma prova ancora una volta a tracciare un percorso per uscire dalla crisi politica apertasi con le elezioni del 12 giugno. L’ex premier dichiara che la Costituzione iraniana non è una “rivelazione immutabile”, visto che alcune ne sono state cambiate alcune parti nel 1989. Mousavi suggerisce di apportare alcune modifiche sulla base “delle richieste del popolo e della nostra esperienza nazionale”.

Il leader riformista ha poi denunciato ancora una volta le restrizioni delle libertà d’opinione, sottolineando cone “nel movimento verde ogni persona è un media”.

È un’uscita pubblica significativa, in vista delle annunciate manifestazioni dell’11 febbraio (22 bahman secondo il calendario persiano), giorno in cui si commemora la vittoria della rivoluzione. È importante ricordare che l’11 febbraio 1979 fu il giorno in cui l’esercito iraniano proclamò la propria neutralità, quasi un mese dopo la fuga dello scià (16 gennaio). Oggi è molto difficile ipotizzare una situazione simile, perché tra potere politico e militari (basji e pasdaran) il legame è molto più stretto e solido rispetto al periodo monarchico.

Se la politica interna sembra evolversi ancora piuttosto lentamente, lo scenario internazionale sembra subire un’accelerazione drastica. In particolare, sembra cambiare la posizione italiana. In visita a Gerusalemme, Silvio Berlusconi ha auspicato nuove dure sanzioni contro l’Iran, colpevole, a suo avviso, di mirare alla bomba nucleare. Berlusconi ha anche definito il governo di Teheran “poco popolare” e ha promesso sostegno all’opposizione iraniana.

Quasi in contemporanea, il vicepresidente Usa Biden ha detto che ''il governo iraniano ha perduto la sua credibilità morale nel paese e nella regione facendo ricorso ai metodi violenti per reprimere il dissenso. Ci stiamo muovendo insieme al resto del mondo, compresa la Russia ed altri, per far scattare nuove sanzioni contro Teheran. Ci stiamo muovendo nella direzione giusta in modo calibrato. Il governo di Teheran sta piantando i semi della sua distruzione restando aggrappato a tutti i costi al potere e reprimendo il dissenso”.

Tutto questo nel giorno in cui il presidente iraniano Ahmadinejad – sempre più isolato all’interno – rilancia alla tv di Stato: ''Non abbiamo problemi a mandare all'estero il nostro uranio arricchito''.

Questo nuovo atteggiamento da parte della comunità internazionale può condizionare la situazione interna? Molto probabilmente sì, ma difficilmente ne beneficeranno l’Onda verde e il fronte riformista. Quando l’Iran torna a essere al centro delle critiche, sono i “falchi” ad avere gioco facile contro il “nemico esterno”.

Il vero banco di prova per la Repubblica islamica sarà nei prossimi mesi la situazione economica. Il governo Ahmadinejad ha infatti varato una drastica riforma del sistema di sussidi che rischia di provocare un sensibile peggioramento degli standard di vita dei ceti popolari.

L’ayatollah Khomeini, nel suo testamento politico, ammonì i propri successori: “Se perderete il sostegno dei diseredati, farete la fine dei Pahlevi”.